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L’UOMO IN BILICO IN UN MONDO CHE CAMBIA

Amici miei, i nodi stanno venendo al pettine, dopo milioni di anni di corsa sfrenata verso un futuro, che non garantisce la vita, dove invece la morte trova la sua naturale affermazione e dà un senso alla nostra depressione. Si, l’uomo è depresso per condizione, non sapendo dare a sé una ragione della sua apparizione sulla terra, né tanto meno sa darsi una ragione della morte. Quello che avrebbe potuto fare, quasi mai l’ ha fatto, né oggi lo fa, condizionato com’è dagli eventi della storia. Storia che potrebbe essere magistra vitae, se considerata per quello che non è, ma non lo è, in quanto considerata per ciò che è. I suoi insegnamenti sono tendenziosi e lontani dal senso umano della vita, perché di essa si sono appropriati gli opportunisti del potere, che hanno la mente ottusa, ubriaca dell’avere. La condanna metafisica alla libertà, costretti a scegliere qualcosa, anche il suo nulla, finisce per ridicolizzare il soggettivo arco di tempo che ci viene concesso. Una cosa concessa, non elaborata dalla nostra volontà, è una cosa che, per principio, non ci appartiene: è quindi la necessità di una presunta libertà; ciò che ci appartiene è già un possesso altrui, sia in senso metafisico, sia in senso sociale. Tutto è programmato, prima che accada; è indiscutibile il determinismo delle cause. Si viene al mondo a nostra insaputa, seppure è questo un accidente assoluto, che si ripete tutti i giorni e in tutte le nascite, per questo assoluto, ma non ci appartiene se non in quanto lo subiamo senza alcun atto di coscienza, in una maniera che ci stupisce e ci stordisce, prima di saper trovare un senso da attribuirci: dove questo non riusciamo a farlo, per diverse ragioni, diamo corso alla nostra sofferenza ed alla follia. Ed è sulle nostre sofferenze umane che si costruisce il potere dei pochi, grandi mistificatori, falsari della verità: economisti, politici e falsi pensatori, il cui fine non è certo la conservazione ed il miglioramento della specie, che richiederebbe la centralità dell’uomo in tutte le cose, fatte o pensate, ma è la ricerca ottusa di vantaggi personali o per pochi. In questo assurdo marasma, l’uomo è in bilico, non sa cosa fare o a chi rivolgersi, egli è in balia del dubbio, se è o non-è, se è un progetto di cui lui possa definirsi detentore o è una cosa diversa, che lo riguarda solo perché lo pervade, lo possiede, ma che profondamente non gli appartiene, lo subisce soltanto. Cartesio diceva: “Cogito (o dubito) ergo sum”, ma il dubbio, seppure sia un pensiero è frutto dell’iniziale insicurezza esistenziale, che ci proviene dall’estraneità ontogenetica della nascita e della morte, alle quali non riusciamo a dare un significato razionale. Solo le religioni cercano di forzare i confini dell’assurdo, per dare un senso all’esistenza, ma è solamente un marchingegno della fede, che preclude ogni ragione e pertanto ogni pensiero: è in questo il fallimento del pensiero cartesiano. Una siffatta teoria sembrerebbe una visione pessimistica della condizione dell’uomo, in verità non lo è, in quanto è una teoria che ha il coraggio di affrontare il problema dei significati dell’essere, senza accucciarsi sotto le ali dell’esserci, per paura di strappare il velo che copre la verità della vita. Ognuno di noi lo capirà meglio nel momento in cui la morte si presenterà per annunciare la fine della nostra permanenza terrena, sarà certamente un momento drammatico, non tanto perché annuncia la fina, ma soprattutto perché scopriremo la nostra banalità e non avremo più il tempo per recuperare: la morte sarà accolta con serenità solo se ci renderemo conto che la vita ha avuto un senso umano. Le ricchezze, con tutte le altre forme di potere, si lasciano: resta soltanto, sulle labbra di chi muore, il sapore dell’umanesimo, di quanto cioè abbiamo saputo costruire a vantaggio dell’uomo; questo ci rende universali ed eterni, ogni altra cosa, pura immanenza, ci relega nell’oblio e nell’indifferenza. L’arte rende eterni e, con l’arte, il grande pensiero che aiuta l’uomo a sentirsi partecipe di un progetto universale. Purtroppo ormai ha preso il sopravvento il pragmatismo, con le scienze esasperatamente positiviste, che ignorano ogni forma di umanesimo e puntano solo al potere. Beati gli uomini semplici, che partoriscono grandi idee e svelano con la loro opera il profondo valore dell’interiorità, della vita e della natura; stolti invece coloro che pensano di sublimarsi con la ricchezza del potere: a loro resterà soltanto l’amarezza della perdita dell’immanenza . La sublimazione è una fuga dalla realtà e dalla verità. Il nulla torna al tutto con la vita, come il tutto si riversa nel nulla, con la morte: restano soltanto i grandi valori che esaltano l’uomo e la sua specie. Il buio della notte, come la morte, abbraccia le stolte malefatte dell’uomo che si è dato alla violenza, rifiutando ogni forma di ragione: di notte i giovani, che sono le principali vittime di questa corrosa e corrotta visione del mondo e della vita, consumano banalmente la loro esistenza, per non pensare e per nascondere le loro paure. Nelle grandi città esplode la violenza e già a dodici anni gli adolescenti si organizzano in bande la cui religione è la distruttività immotivata e la morte. I loro vicini di casa sono l’alcol e le droghe, ignari che questi cattivi vicini li avvicinano vertiginosamente alla fine; non sanno guardare dentro se stessi, anzi s’ignorano: così ha voluto la scienza, l’economia e la politica. Ma ricordassero, gli scienziati, gli economisti, i politici e tutti gli uomini distratti, che a questi irreparabili guasti sono soggetti anche i loro figli e i loro nipoti: non c’è poi tempo per il pentimento!

 Prof. Antonio Vento

24 novembre 2008
 

 

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