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STORIE DI CRISI 2

Che la crisi sia da considerare mondiale, ormai non ci sono dubbi, ma che tale crisi la debbano pagare i cittadini, e solo loro, non è un fatto accettabile. Non è accettabile per diversi motivi: 1- essendo la crisi strutturale, quindi di risorse, quindi di lavoro, senza il quale crollano, in buona parte, i salari a scapito del mercato e degli investimenti, con difficoltà insanabile per l’acquisto d’una casa e quindi per portare a compimento una scelta di famiglia, con tutte le conseguenze economiche e sociali che ne derivano, dobbiamo avere il coraggio di ammettere che questa crisi è “crisi del capitalismo”. Questo vuol dire che ormai il Capitalismo, come teoria economica e come filosofia sociale, ha raggiunto il suo estremo confine e non si prevedono segni di rinnovamento. 2- un rinnovamento è possibile solo se si ha il coraggio di dichiarare il fallimento dell’economia e della vecchia sociologia di comodo e di riportare, con la vera Politica, l’attenzione sulla centralità assoluta dell’uomo. 3- fare definitivamente i conti con le banche, organismi non democratici perché non elette dai cittadini, ma create e mantenute in vita dalle lobby, per le lobby. Riaprire quindi gli sportelli delle banche ai cittadini, mettendo in atto il principio del microcredito che ridà linfa alla creatività di progetti di investimento e di produzione, ritenuti validi, ridimensionando le teorie finanziarie e pseudo morali  delle commissioni di riorganizzazione bancaria espresse da Basilea 2 e Basilea 3. Non si può invocare il coraggio delle persone che si industriano nella formulazione del lavoro, se prima non sono le banche stesse, la finanza e la politica a dimostrare di avere lo stesso coraggio nel rilancio delle risorse umane e nella valorizzazione delle risorse naturali e del lavoro. 4- dicevamo prima che anche la vecchia sociologia, prodotta dagli strati stantii di un capitalismo ormai stremato ed inefficiente, deve cedere il posto all’idea che una società è tale se viene riconosciuta nella sua essenza (éidos) e non nel suo valore di stato di potere che si preoccupa della sopravvivenza dei propri interessi e dei vantaggi per i pochi. L’uomo, nella sua essenza fenomenologica e quindi trascendentale, quindi in perenne trascendenza, deve essere posto al centro di tutti gli interessi esistenziali, considerando che un principio di centralità umana rimette a posto anche il principio dell’economia, cioè di una nuova economia, che non ha bisogno di tagli o di falsi investimenti perché non è su questi che si deve puntare se si vuole migliorare la vita, bensì garantendo a tutti i cittadini (in un processo di auto garanzia e di autogestione della politica – come reale gestione della polis - ) il lavoro e la difesa della salute. 5- ma come si garantisce il lavoro e il diritto alla difesa della salute a tutti i cittadini, superando ogni spezzettamento di distribuzione sociale? Abbiamo prima accennato alla necessità di rinnovare la sociologia, strappandola dalle mani della vecchia politica e riportandola nell’idea di un neoumanesimo, sgombro da qualsiasi monopolio idealistico o moralistico, rammentando che proprio servendosi del concetto astratto di democrazia, questa, come ribadiva lo stesso Platone, ha governato per lunghi secoli con lo stile delle peggiori forme di dittatura, subdole e spesso immorali. Noi, senza risalire ad una analisi filosofica del lavoro dove si potrebbe evincere l’ambiguità e l’ipocrisia dei ruoli, con un io che sempre produce qualche cosa nella sua sottomissine all’alterità che commissiona questo lavoro e a quella che ne fa uso, dobbiamo porre l’attenzione sui vantaggi relativi e sugli eventuali svantaggi prodotti dal lavoro in ogni sua componente. Innanzi tutto non possiamo non constatare che, solitamente, il datore di lavoro è solo un organizzatore (non sempre valido o capace, ma pur sempre nel ruolo del “padrone”) di questo lavoro e decide personalmente sull’andamento della produzione e sul destino dei dipendenti. Questi ultimi, per garantirsi una certa stabilità e continuità nel contesto lavorativo, firmano un contratto di lavoro che spesso il datore di lavoro elude e non rispetta, mettendo in atto progetti vessatori e mobbizzanti, al fine di demansionarli o licenziarli. Se vogliamo cambiare veramente le cose, dobbiamo mettere tutti i cittadini nella condizione di poter esprimere se stessi nella migliore delle maniere possibili. Non si deve assistere alla solita storia della divisione tra chi pretende di avere la capacità di gestire il potere e la stragrande maggioranza di chi lo deve subire. Non servono agli uomini normali i professori per governare: i professori servono soltanto per insegnare universalmente una nuova pedagogia umanista. Se l’uomo sta al centro di ogni forma del sapere sarà sempre nelle condizioni di attuare un suo stato di felicità. Perciò si deve tornare all’aforisma dei filosofi classici che si ponevano il problema della felicità. Diversamente la tecnologia avrà il sopravvento sui sentimenti umani e trascinerà l’uomo verso la sua autodistruzione: la tecnologia è utile e positiva solo se pone, come suo primo fine, quindi come suo obiettivo teleologico, l’uomo e la sua felicità e non il suo amaro gusto di potere. Nei nostri giorni l’uomo si sente solo ed infelice, ma s’illude quando crede di poter superare il tedio e le sue angosce sedendosi davanti al computer per chattare o per mettere in atto rapporti virtuali. Vuol dire dimenticare che l’impegno primario per tutti gli esseri viventi è quello di curare e salvare la vita. Esaminiamo in forma molto sintetica la giornata dei cittadini di queste nostre moderne civiltà, a partire dal nostro paese: la mattina chi è riuscito a dormire si sveglia col pesante pensiero, che gli procura almeno uno stato di emicrania, di guardare nella cassetta della posta dentro la quale, immancabilmente, si raccolgono i funesti e manipolati avvisi di “equitalia” o simili che   intimano perentoriamente di pagare qualche tassa o qualche multa di per sé ingiustificata e non umana (e spiegheremo il perché), accompagnati da varie bollette di pagamento per servizi che dovrebbero garantire la vita, quando invece non è così perché se non paghi ti vengono tolti i servizi senza tenere conto del tuo stato sociale o della tua salute: homo homini lupus. Guai poi se stai male o hai bisogno di soccorso medico: devi avere i soldi e non c’è diritto che tenga, anche se ipocritamente la Costituzione garantisce il lavoro, la salute e la giustizia; nulla di tutto questo è scontato. La spremitura della povertà è giunta al massimo livello fino a costringere un povero cittadino, anche anziano e indigente, a fare lunghe file davanti agli sportelli postali per ritirare un avviso di presentazione in altro ufficio centrale dove gli viene consegnato, anche qui dopo una lunga ed estenuante fila e dopo aver pagato un euro e mezzo, un atto ingiuntivo, confusionario e assurdo, che fa ricordare (a chi l’abbia letto) “il Processo” di F. Kafka. Abbiamo, sopra, definita ogni sanzione o multa falsa e disumana ed è forse il caso di spiegare il perché di tale affermazione: il processo produttivo dei paesi capitalistici tende sempre a condizionare i cittadini, definiti consumatori, senza i quali ogni forma di mercato cesserebbe di esistere, per comprare i suoi prodotti, non distinguendo più tra prodotti primari e prodotti secondari; quel che conta è comprare e a questo fine ogni sistema si è garantita la complicità delle banche, di quelle stesse banche che negano agli stessi cittadini ogni forma di aiuto finanziario se si vuole comprare una casa e mettere su una famiglia o attuare un progetto di lavoro. Se si vuole comprare una macchina le banche sono altamente consenzienti, considerando poi che per circolare devi pagare una salata tassa annuale, una ricca polizza assicurativa, tasse di verifica e di controllo annuale e così via, per finire poi, quotidianamente, nelle fauci feroci dei petrolieri e dello stato che speculano sulla pelle degli utenti e dei consumatori ignari. Non è forse tutto questo ingiusto e disumano? Non ci provasse qualcuno dei servitori del sistema a dirmi che sono un ingenuo idealista, potrei dargli sul muso un pugno, anche se debole e anziano e lo dico con ironia perché a me basta l’intelligenza ed ognuno che disaccorda è libero di darsi alla stoltezza. In ogni caso il momento della resa dei conti è vicino: la gente non ha soldi per reggere il gioco che il capitalismo gli ha insegnato ed imposto; non accetta più di constatare passivamente la sua fine, mentre i privilegiati si appropriano di ogni possibile vantaggio e mettono in atto furti legalizzati; la vecchia politica, serva di questa sporca gente – e lo constatiamo ogni giorno – non è più capace di reggere questo pesante gioco; i tagli sulle spese sono una falsa e ridicola finzione che dovrebbe fungere da terapia per il capitalismo morente; il malessere cresce e con esso la rabbia (e voglio ricordare l’amigdala) che prima o poi esploderà nelle piazze del mondo. Ci spiegassero i professori (che predicano bene e razzolano male) perché non si fanno i tagli sui privilegi dei politici e quindi anche su di loro e ci dicessero che fine fanno i soldi strappati alla povera gente, alle pensioni, ai sofferenti malati, agli studenti fuoricorso che spesso lo sono (in quanto disagiati o fuorisede) perché devono lottare per la sopravvivenza: è come gettare fuoco sul fuoco. Ci aiutassero a capire quale sarà (noi lo sappiamo e presto i presunti saggi se ne renderanno conto) il destino delle migliaia di licenziati e di disoccupati. I tempi si accorciano sempre di più perché a spingere verso un principio di giusto umanesimo sono tutti i continenti e tutti i popoli del mondo, stanchi di sopportare che poche famiglie di privilegiati possano governare sul nostro pianeta tenendo tutta l’umanità in stato di schiavitù. E’ questo il momento di spezzare le catene.

Prof. Antonio Vento

04-08-12
 

 

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