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RAZZISMO DI CASA NOSTRA

A Milano, la grande città del nord d’Italia, nostro paese, paese di tutti, ricchi e poveri, potenti ed umili, cattolici e di altre religioni, a Milano che rivendica il ruolo di capitale europea, a Milano un povero ragazzo di colore, che aveva il certificato di residenza in questo paese, viene assassinato da un padre e un figlio, entrambi commercianti impietriti, senza sentimenti, forse per un biscotto preso per gioco, come tanti ragazzi incauti fanno talvolta nei supermercati o nei bar delle nostre città. La notizia viene data con l’arte dell’informazione, anch’essa impietrita, fredda come la pietra del San Michele (avrebbe detto Ungaretti), attenta a non turbare le coscienze schierate, senza voler mettere in evidenza che con questa morte muore l’ultimo briciolo di dignità degli uomini e si uccide Dio.
La politica commenta la notizia con un cenno di pietismo, ma con tanta indifferenza celata, perché proprio da essa si ricevono i primi messaggi di violenza e di convivenza disumanizzata: odio tra le parti, dialoghi aggressivi e diseducativi, ipocrisia ed inganni, corruzione e repressione, latrocini e tassazioni. Ma cosa si pretende dai ragazzi, se questi sono gli educatori e i modelli? Perfino la chiesa cattolica ha sacrificato il suo mandato divino per la sopravvivenza storica, invocando la partecipazione clericale alla politica. La grandezza di un paese non si misura dallo strapotere delle banche, che si costruisce sullo stritolamento delle famiglie e della povera gente, si misura invece dallo stato di convivenza, dalla solidarietà, dall’amore, dalla serenità dell’individuo, dal sorriso dei bambini, dalla tranquillità degli anziani, che trovano spazio nella vita sociale, dal diritto alla salute e alla vita, dalla lotta alla fame, dalla umana possibilità di trovare un lavoro e tradurre in realtà i propri sogni, dal non avere paura del proprio vicino, dal non essere travolto sulla strada dalla follia di un alcolista o di un tossicodipendente, dal non morire stupidamente per un’ overdose, dal poter decidere della propria sorte se si entra in un coma irreversibile, dall’amore che si dimostra verso tutti gli esseri viventi e verso il nostro pianeta. Questa è civiltà. Purtroppo il popolo italiano, in buona dose, è un popolo razzista: ricordo quando ero bambino, un normale bambino della Calabria, che si leggeva, sui portoni delle grandi città del centro-nord,  “non si affittano stanze ai calabresi”; ancora oggi, grazie al pregiudizio di tanti limitati inquirenti o giudici, ogni tanto si criminalizzano i calabresi sol perché la ‘ndrangheta dirama i suoi tentacoli del potere, supportata dalla politica e dalle stesse istituzioni. In ogni città c’è razzismo tra centro e periferia urbana, tra i più fortunati cittadini della società medio-alta e i baraccati o gli zingari, tra i benestanti e i poveri di questo paese che si definisce cristiano, senza esserlo. La verità è che la cultura dell’uomo s’è persa lungo la triste strada della speculazione finanziaria, che impone sfruttamento e leggi rigide di convivenza, dove non si conosce più la pietà e l’amore per l’altro. E l’uomo è diventato sempre più triste e solo, perché ha perso il senso delle cose e il piacere della vita semplice e dignitosa.

 Prof. Antonio Vento
 

15-09-08   

 

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