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OMICIDIO FRANCHINI: ANALISI CRIMINOLOGICA

Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad una recrudescenza del crimine, davanti alla quale sono state poste diverse ipotesi: di solito la ricerca di una ipotesi serve a chi si muove sul terreno delle indagini, per dare ad esse un senso di scientificità, che serve solo a trovare un colpevole e chiudere il caso, senza porsi alcuna domanda sulle ragioni profonde, antropologiche e sociologiche, che si dispiegano dietro fatti inquietanti come quello di Franchini, nello spazio storico-geografico in cui è avvenuto. Siamo tra Scauri e Formia, zona di frontiera con la camorra, che trova in questi luoghi la sua normale continuità, vuoi per la contiguità culturale, vuoi per la presenza di confinati e di emigrati campani, che hanno cercato espansione e, forse, maggiore tranquillità logistica per poter esercitare il crimine con più autonomia e con maggiore spazialità, rappresentando anche l’avamposto della Capitale e uno snodo poco controllabile con le organizzazioni malavitose del Sud d’Italia, senza però escludere il Nord che consuma i prodotti della malavita organizzata, finanziandola e rendendola sempre più potente. Basta ricordare gli ultimi dati sullo spaccio di cocaina, che trova al primo posto Milano con un consumo giornaliero di 1 kg. e mezzo di cocaina. L’omicidio del diciannovenne Franchini, certo, lascia perplessi per la sua giovane età, ma non di meno per il modo in cui è stato ucciso, accoltellato e avvolto in un telo, prima di bruciarlo, come per cancellare la sua identità: tutte queste manovre non consentono interpretazioni casuali, come può essere una lite finita male o uno scambio di opinioni non accettato da una delle parti, fanno invece pensare ad un accidente causale, dietro il quale c’è una precisa elaborazione di quanto è accaduto. Questo perciò fa pensare a gruppi organizzati che, tanto per fare qualche ipotesi, potrebbero aver avuto con la vittima contatti professionali (la danza e le ragazze che la frequentano) o di uso di sostanze stupefacenti. Circa un mese prima, nello stesso scenario storico, gli inquirenti hanno trovato un altro corpo carbonizzato ed hanno indirizzato le indagini verso il mondo della droga.
Ma torniamo indietro, alle cause antropologiche e sociologiche: il nostro paese, specie nelle zone di confine, o meglio borderline, sta attraversando un momento di cambiamenti storici e culturali, purtroppo vissuto nella piena confusione mentale e sociale, perché nulla si pensa per capire meglio quanto sta accadendo e cosa si dovrebbe fare per non finire nel vittimismo antropoculturale o nel pietismo moralistico e religioso. I politici si sono dimostrati, da entrambe le parti, incompetenti, pronti a difendere le loro “presunte” ragioni senza avere una visione dell’insieme, capace di accostare le motivazioni umane interne, alle ragioni internazionali di ricomposizione razziale del globo. Da noi, i problemi non mancano e quanto sta accadendo lo testimonia con viva chiarezza; siamo diventati il pedaggio dei profughi africani, per chi entra dal Sud, e degli scontenti del Nord-Est europeo, per chi viene dal nord. A questi si aggiunge la diaspora cinese, quella indiana, quella del medio-oriente e così via: tutti sperando di trovare in Italia la loro Mecca. Ma giova, ancora una volta, ricordare cosa diceva Dante Alighieri (certamente sconosciuto alla maggior parte di questi immigrati e, credo, anche a qualcuno dei nostri giovani!) del nostro paese: “Povera Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiero in gran tempesta, non donna di provincia, ma bordello”. E purtroppo un bordello tutto è. La nostra cultura e la nostra creatività artistica sono molto scadute; così pure le nostre Università sono diventate, in buona parte, un cesso di insegnamento e piuttosto un ufficio di collocamento, senza alcuna identità. Le persone valide, i “veri possibili maestri” sono combattuti, emarginati o allontanati: si vedono crescere solo i rampolli del potere, dove una fattispecie di classe dirigente lecca il “culo”a chi detiene il potere: rettori, direttori amministrativi, dirigenti ecc. E, di fronte a tutto questo una classe politica inetta, di destra o di sinistra che sia, che s’inventa un modo di governare, senza sapere cosa e per chi. I mezzi di comunicazione sono tutti, chi più, chi meno, asserviti ai governanti; perfino la magistratura ha perso la sua tradizionale austerità ed ha scelto il garantismo di parte. In un ambiente come questo è chiaro che tutto può accadere: le cellule degenerative trovano maggiore attecchimento e un ambiente positivo per la proliferazione. E’ chiaro che l’iniziativa per emigrare, affrontando seri rischi e pericoli, la prendono soprattutto i soggetti più inquieti, quelli che, come si suol dire, hanno poco da perdere, che magari hanno un cattivo rapporto col mondo che lasciano e perciò trasferiscono nel nostro paese questo loro malessere sociale. Da noi trovano poi un terreno più accogliente, con leggi più tenere e questo li fa sentire a loro agio, pronti a tentare l’avventura della rivalsa storica. Se il lavoro non lo trovano, perché clandestini, avanzano il diritto della riappropriazione, aiutati da falsi cristiani e ipocriti moralisti. Ma il lavoro manca anche ai nostri figli, come le case e la serenità esistenziale. L’economia nazionale, come quella mondiale, è in crisi: lo stesso Obama, nuovo presidente americano, l’ha già constatato, ma non basta scagliarsi contro le banche, che certamente sono sanguisughe sociali, bisogna risolvere il problema della produzione (che richiede polso nei confronti delle infiltrazioni di un mercato nero competitivo perché totalmente privo di oneri sociali) e quello di un salario, necessario a consumare quanto si produce. Obama, di questo passo, è destinato a fallire, come falliscono tutti i governi fantoccio: ci siamo chiesti perché il capitalismo americano ha finanziato la campagna politica più costosa della storia d’America? Non perdiamoci in chiacchiere nella ricerca di scuole di economia politica (lasciamolo fare ai narcisisti dell’economia, come i nostri ministri): gli economisti si dividono, come diceva Maffeo Pantaleoni, tra chi conosce l’economia e chi non la conosce.
Ritornando poi al tema particolare dello sviluppo della criminalità nel nostro paese, possiamo perciò dire che a farla crescere contribuiscono fattori interni e fattori esterni: tra i primi, oltre a quelli già citati, vorrei aggiungere uno, che ha un valore statistico, ma anche di costume. Abbiamo assistito, ultimamente, al lungo fumettone televisivo dedicato alla banda della magliana, mitizzata e comunicata meglio a chi, come i nostri ragazzi, non la conosceva bene. Si è visto che il crimine paga, anche se poi tutti finiscono male, ma finiscono da “eroi”, posti al disopra della politica, della morale e degli stessi servizi segreti: questo ha toccato l’immaginario giovanile e ha spinto a credere che l’organizzazione criminale è una delle più rapide maniere di accumulare ricchezza. Abbiamo visto perciò crescere   furti, rapine, stupri e spaccio di droghe. Tra i fattori esterni dobbiamo ricordare, come dicevo prima, che da noi non vengono i più tranquilli e i più colti dei paesi poveri, ma i più inquieti, quelli di cui i loro stessi paesi si voglio liberare e che, proprio per questo, meriterebbero una maggiore attenzione e una assistenza che noi, però, non possiamo dare, avendo tanti problemi da risolvere ancora nel nostro paese. Abbiamo ancora un Sud, che non è solo un sud geografico, ma un sud dei problemi sociali. Non serve il moralismo o la superficiale religiosità per cambiare in meglio le cose, serve invece l’onestà di analisi e la fermezza negli interventi sociali e politici, per evitare che la situazione storica degeneri definitivamente, senza più possibilità di  uscire fuori dalla crisi.

 Prof. Antonio Vento

31-01-09

 

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