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MONTI, TREMONTI E TRAMONTI
Se non ci fosse stato il
tempo, col suo eterno negarsi in quanto verità, perché si fa attraverso
una continua negazione e pertanto si propone in qualcos’altro che la
verità, che non trova nel tempo una sua universalità e una sua
assolutezza, anzi è il concetto di verità che dà assolutezza al tempo,
gli uomini non avrebbero avuto bisogno di una politica storica, perché
questa sarebbe stata la negatività nella negazione, la nullità nel
nulla. Dato però che l’uomo si è lentamente adagiato su una concezione
della vita che non si pone concretamente un problema disinteressato
della verità, ma tutt’al più si costruisce una morale che lo soddisfi
giorno per giorno, sui bisogni materiali e sulle esigenze relazionali,
demandando poi tutti i dubbi e le sue angosce alla metafisica, non come
scienza, ma come trascendenza, ha posto insieme due aspetti fondamentali
di organizzazione esistenziale e sociale: quello storico, con la
politica, che a sua volta diventa economia politica, come controllo
della con-vivenza; quello trascendente, con le religioni e ogni altra
forma di metafisica, per superare l’angoscia della morte e quindi della
finitezza, scoprendosi come un dio mancato.
Per millenni l’uomo si è saputo dare una giustificazione della sua vita
e della sua centralità nei confronti del mondo: le stesse religioni
erano antropomorfe e non avvertiva il bisogno di una metafisica ignota
ed astratta, ma interpretava le sue esigenze trascendenti attraverso i
fenomeni della natura e i suoi stessi pensieri. La politica non era
altro che il principio stesso della vita, come principio organizzativo
della convivenza, anche se il senso di uguaglianza e di giustizia erano
principi finalizzati alla convivenza, attraverso i quali si
giustificavano le azioni di un’oligarchia che governava più per potere
personale che per mandato sociale.
Oggi siamo arrivati ad un concetto di politica che non si pone più il
problema della centralità dell’uomo, collocando al centro della vita
stessa dell’uomo l’economia: quindi ci troviamo nel totale
capovolgimento delle tradizioni storiche, pur abusando di un concetto di
democrazia che ancora configura il passato della storia dell’umanità. Ai
nostri giorni il primato della vita sta fuori della vita stessa. Anche
il sapere è diventato un sapere esterno all’uomo, freddo e tecnologico
fine di quasi tutte le società. Il pragmatismo ha sostituito ogni
aspirazione all’assoluto: resta solo la paura e il rifiuto della morte,
che non si vogliono affrontare perché questo smaschererebbe l’uomo
moderno e lo angoscerebbe ancora di più; senza un nulla metafisico egli
non sa più vivere. I primi segni delle sue contraddizioni e le
manifestazioni della sua incongruenza esistenziale stanno però venendo
fuori. La stessa economia, che come tutte le altre scienze non è una
scienza esatta, perché le premesse della conoscenza, quale conoscenza
storica, sono ormai lontane dall’essenza della vita e i centri del
sapere, come le università, sono solo centri di potere perché insegnano
quello che il potere vuole e nella maniera che questo potere vuole, si
regge più sulle simulazioni che sulla verità che, come prima dicevamo,
non è assoluta. Quando però banche e università si affiancano nella
gestione del potere, vuol dire che (calate le maschere) la violenza
subdola e ipocrita (perché offerta nell’ambito di una falsa democrazia)
si accinge a sacrificare ulteriormente l’uomo, che non solo non è più al
centro della realtà, divenuto prodotto di sfruttamento per la nuova
economia politica, ma sta per essere schiacciato anche dentro la sua
stessa marginalità: altro che amore o carità, siamo alle porte della più
spietata cattiveria umana. Nel nostro paese, dentro un’Europa fittizia,
che gioca a seconda delle esigenze che l’egoismo manifesta, dopo un
governo Berlusconi che comunque (al di là delle sue incapacità, nate
dalle responsabilità di un sapere che ha rinunciato al suo ruolo per
godere di vantaggi miserabili) aveva una sua maggioranza, pur non
appartenendo alle lobby patentate, che l’hanno combattuto, anche con
accanimento, per strappargli la maggioranza raggiunta col metodo
elettorale. L’ipotesi di un governo Monti (senz’altro uomo di cultura –
ma di questa cultura – Rettore della Bocconi, che si è attorniato di
altri due Rettori universitari e di tanti professori universitari) non
può non essere un governo delle oligarchie, di formazione strettamente
tecnocratica che, comunque, visto che si deve muovere in ambito
tecnocratico, sicuramente è il governo più idoneo, ma non per i veri
problemi della gente o del loro destino. Se i signori delle Università
avessero bravura e umana autonomia, avrebbero risolto i problemi delle
università che, invece, languono nelle angustie culturali ed umane e i
giovani lo testimoniano ogni giorno con il loro dissenso. Certo bisogna
riconoscere al nuovo Presidente, on. Monti, il coraggio di chi si espone
a tutte le impopolarità.
Tremonti non ha avuto un simile coraggio, anche perché, da semplice
fiscalista, non aveva la preparazione adeguata per affrontare (con la
sua vocina femminile e aristocratica, dalla r moscia) i grandi problemi
della politica e della storia.
Certo è difficile pensare che la politica possa scalare i Monti e i
Tremonti (scusate il gioco delle parole), sono troppi questi monti da
superare per poter vedere nascere il sole, ci si deve accontentare dei
Tramonti in attesa che il vero corpo della democrazia illumini le menti.
Prof.
Antonio Vento
18-11-11
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