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IL MOBBING E LA SIMULAZIONE
Nel corso della mia
lunga e articolata esperienza in materia di Mobbing ho potuto studiare
alcuni comportamenti che si contrappongono tra il mobber e il mobbizzato,
che talvolta rendono difficile una chiara classificazione del fenomeno.
Esistono, a mio avviso, tre spazi comportamentali, in ogni situazione
medicolegale, dove si richiede un giudizio che decida su possibili
vantaggi o svantaggi: questo quadro si può applicare anche in ambito
giurisprudenziale, sia in termini di difesa, sia in termini di
rivendicazioni e, come vedremo, anche in Criminologia.
Possiamo servirci metaforicamente delle tinte per conformare tre stati
correlati in un unico principio, la conservazione strutturata sui dati
genetici ed ereditati (come l’etica, la sensibilità, gli stimoli
prenatali ecc.) e l’esperienza vissuta nel processo evolutivo
postnatale: il bianco per indicare la trasparenza e quindi l’assoluta
assenza di simulazione (1); il nero per indicare una scelta cosciente di
simulazione; il grigio per indicare uno spazio ampio e stratificato,
che l’inconscio, stimolato dalla ragione, si garantisce, per far fronte
alle sue rimozioni e alle sue fobie.
Di solito, l’io mette in atto uno stato di simulazione, che si
concretizza nel produrre e presentare dei sintomi completamente
inventati o grossolanamente manipolati, per un preciso fine che può
essere: 1) allontanare da sé ogni forma di responsabilità che può
comportare rischi o situazioni che non si sanno gestire e che potrebbero
procurargli punizioni o limitazioni nel concetto che egli ha della
libertà; 2) poter ottenere dei vantaggi, che gli facilitino il suo
essere-nel-mondo, raggiungendo dei privilegi o evitando punizioni di
qualsiasi natura, istituzionale e non; 3) cercare di ottenere uno stato
di rivalsa per compensare un senso di colpa, scaturito da fatti
catastrofici o finanziari o di perdita del lavoro. In alcuni casi, come
ad esempio il trovarsi in carcere, per scontare una pena, il detenuto,
talvolta, simula o non si rende conto di simulare, essendo entrato nello
spazio grigio, dove tutto è finalizzato al raggiungimento spontaneo di
un fine, che non si distingue più dalla menzogna perché verità e
menzogna trascendono la realtà, avendo subito l’influenza di una
situazione in cui soggetto e oggetto perdono la chiara distinzione e
diventano elementi di ricerca di una nuova stabilità situazionale. Il
detenuto sa che ormai, stando in carcere, il concetto di libertà
acquista una diversa conformazione rispetto al concetto di libertà
intesa al di fuori del carcere. A questo si aggiungono, in forma
stratificata, tutte le qualità antropologiche ereditate con la nascita e
le esperienze pedagogiche e sociali immagazzinate nel corso del vissuto.
Una persona simula, inventandosi sintomi particolari (fisici o
psichiatrici) o situazioni il cui fine è quello di ottenere vantaggi
esterni o di evitare svantaggi esterni. Ci sono poi dei casi in cui il
soggetto simula per adattarsi ad una situazione, di solito pericolosa,
come la prigionia in tempo di guerra o l’essere ostaggio in un sequestro
(vedi sindrome di Stoccolma).
Comunque, Harold I. Kaplan, nel suo “Manuale di Scienze del
Comportamento e Psichiatria Clinica”, riferendosi alla simulazione
scrive quanto segue: “La simulazione dovrebbe essere fortemente
sospettata quando si rileva una combinazione dei seguenti:
(1)
comparsa in un contesto medico-legale (ad esempio il soggetto
viene invitato al medico da un avvocato per una valutazione)
(2)
marcata discrepanza fra lo stress e la compromissione riferiti
dal soggetto e i reperti obiettivi
(3)
mancanza di collaborazione durante la valutazione diagnostica e
nell’accettazione del regime terapeutico prescritto
(4)
presenza di disturbo antisociale di personalità”.
Di solito, nella
simulazione, il sintomo accusato e presentato in maniera vaga, trova una
incentivazione esterna; talvolta si riferisce a storie famigliari ed è
privo di consistenza organica. I simulatori si cercano i medici più
conosciuti e, di solito, li pagano bene per tentare di impressionarli
positivamente. Parlano più facilmente della loro infelicità o dei grandi
torti subiti, esibendo una discreta conoscenza delle leggi, che dei
sintomi psicofisici, facilmente verificabili mediante indagini cliniche
adeguate. Comunque è più facile incontrare un simulatore (più
frequentemente nei maschi) tra i rivendicatori di vantaggi materiali
(come vantaggi finanziari o di carriera) che tra coloro che rivendicano
diritti morali o di compensazione semplicemente psicologica.
Ritornando alla precedente stratificazione metaforica del concetto di
simulazione nei tre colori bianco, nero e grigio, possiamo stabilire una
sorta di scala di verifica, utile per una analisi progressiva del
fenomeno, a partire da tre punti diversi, ma poi convergenti, attraverso
i quali (aiutati da una buona anamnesi, fondamentale nello studio del
Mobbing) si può raggiungere una conclusione veritiera delle indagini.
Nella prima fascia – la fascia bianca – rientrano quei casi in cui il
riscontro medico e quello psicologico si compensano e si giustificano,
mettendo in evidenza una totale assenza di disturbi della coscienza. Se
si riscontra uno dei seguenti sintomi (disturbo dell’orientamento
temporo-spaziale o nella persona, scarsa lucidità mentale, con disturbo
percettivo, mancanza di reazione verso stimoli esterni, sentimento di
sconcerto, di angoscia, con irrequietezza, con stato confusionale, con
paura o allucinazioni, stato crepuscolare, stato onirico o sonnolenza
critica) possiamo pensare che lo stato di coscienza del soggetto
analizzato è disturbato e pertanto il soggetto è suscettibile a stati
simulativi non voluti, ma spontanei (in tal caso il soggetto non fa più
parte della fascia bianca, dei non simulatori, ma fa parte della fascia
grigia, dei simulatori condizionati o sublimati, in fase compensatoria).
Nella seconda fascia – la fascia nera – rientrano i casi di simulazione
programmata e, in tal caso, riscontriamo un disturbo di personalità
(utile la somministrazione del test MMPI-2). Per meglio individuare il
percorso psicopatologico nel quale si struttura la simulazione, dobbiamo
dare una definizione, anche minima, di personalità: è l’insieme dei
tratti emozionali e comportamentali che normalmente, cioè durante la
vita quotidiana e nella sua attività traslativa, caratterizzano il
soggetto.
Dobbiamo tener presente che, quasi sempre, il soggetto che presenta
disturbi di personalità è in grado di adattare i suoi sintomi al mondo
esterno, modificandoli secondo i suoi bisogni (sono disturbi
alloplastici) e pertanto non soffre di ansia per tali disturbi e li vive
con grande spontaneità (sono disturbi ego-sintonici).
Dal punto di vista eziologico possiamo riscontrare, nei disturbi di
personalità, fattori genetici, con casi famigliari di schizofrenia, di
depressine, di disturbo antisociale, di disturbo borderline, di tratti
ossessivo-compulsivi, di insonnia ecc; fattori legati al temperamento,
con storie di paure, di disfunzioni nervose, di disadattamento
familiare, di aggressioni subite da bambini, che producono, nell’età
adulta, disturbo della personalità; fattori biologici, con aumento del
testosterone, con diminuzione di MAO piastrinica, alterato livello delle
endorfine ecc.; infine fattori psicoanalitici, come la gestione che il
soggetto riesce ad attuare dei meccanismi di difesa e quindi del
controllo dell’ansia.
Nella terza fascia – la fascia grigia – rientrano tutti gli altri casi,
in cui la simulazione non è altro che il superamento sublimato di un
sintomo di vittimismo iniziale che, in forma compensatoria, si
costruisce uno stato di difesa e di rivendicazione il cui scopo è quello
di restituire al soggetto un senso di adeguatezza esistenziale e
sociale, che lo preservano dallo sprofondamento in situazioni di
disadattamento psichico e morale.
Ai fini dell’indagine per una corretta valutazione del fenomeno Mobbing,
è utile somministrare il test VENTO MOBBING INVENTORY-2VMI.
La Simulazione in
Criminologia:
Partendo da quanto sostenuto nella precedente classificazione, possiamo
affermare, con dati di fatto, che un soggetto anche quando simula offre
dei segni psicopatologici importanti; è compito del tecnico analizzare
il comportamento e il funzionamento traslativo, con tutti i possibili
riferimenti patologici. Può essere che il soggetto non presenti tratti
patologici netti, ma questo non deve spingere il Magistrato a rinunciare
ad un approfondimento anamnestico, indagando nel passato del soggetto e
nella sua famiglia, nominando un perito per mettere in atto un
protocollo di accertamenti psichiatrici. Specialmente quando si
intravede una sproporzione tra la personalità del reo, i fini che questo
si pone e proietta all’interno delle indagini e la qualità e gravità del
reato. Per una serena ed adeguata applicazione delle leggi, si deve
dare particolare rilievo ai dati biologici e clinici, che consentono una
più approfondita conoscenza della persona che commette il reato e una
più esatta valutazione del reato commesso. E’ come adottare un metodo
trascendentale di indagine, senza restare impigliati nell’immanenza
degli eventi, considerati solo nella loro solidità oggettiva, che spesso
impedisce l’intuizione e la formulazione delle motivazioni, né
precipitare frettolosamente in conclusioni trascendenti, che sono, quasi
sempre, frutto di astratte elaborazioni mentali, compenetrate da varie
sovrastrutture e da vizi metodologici. Intanto c’è da dire che in tutti
i casi di reati gravi, dove s’intravede la presenza di un comportamento
criminale che manifesta una malvagità o perversità d’animo, deve essere
considerato d’obbligo un approfondito esame psichiatrico, con ricerca
dei dati antropologici, sociologici e psicopatologici e di qualsiasi
altro stato morboso. Talvolta non è facile distinguere un disturbo
mentale vero da uno simulato: è compito dello psichiatra (e non delle
figure intermedie) indagare sulla personalità di chi ha commesso un
crimine, col supporto della psicopatologia scientifica. Data la
delicatezza della situazione, è solo il medico che, per le sue
specifiche competenze, che richiedono adeguate responsabilità, deve
farsi carico delle indagini con molta attenzione, con perseveranza, con
fermezza e, dove necessita, anche con coraggio. Non basta soffermarsi
soltanto sul quadro della patologia mentale messa in evidenza; bisogna
studiare tutte le sfumature, gli atti e i movimenti che possono, a prima
vista, sembrare insignificanti o banali; il modo con cui il soggetto si
offre allo sguardo dell’esaminatore e delle altre persone (evidenziando
le differenze e le omogeneità); i discorsi e la maniera con cui tali
discorsi vengono posti, accompagnati da gesti e sguardi. Ogni
particolare, che appare inopportuno o strano all’osservatore, può essere
elemento importante nell’indagine complessiva della personalità del
soggetto e per la valutazione del suo stato fisico e mentale.
La strategia del simulatore, in criminologia, ricorda tanto la
fenomenologia della psicosi distimica, che ha come fine il bisogno di
richiamare su di lui l’attenzione dell’ambiente, servendosi del disturbo
della sfera affettiva sia in direzione del polo dell’eccitamento, sia in
direzione di un quadro depressivo. In una analisi differenziale tra un
vero distimico e un simulatore, c’è da ricordare che quest’ultimo tende
a semplificare al massimo il suo piano comportamentale per paura di
essere smascherato: pertanto cade spesso in forme di mutacismo o di
azioni e frasi stereotipate. Il medico deve saper cogliere tutte queste
sfumature e rivoltarle verso il soggetto che simula, creandogli stati di
tensione, che lo costringono a mettere in atto meccanismi di difesa, che
posso anche durare per molto tempo. Vi sono alcuni simulatori che
simulano attacchi epilettici per giustificare una presunta amnesia,
riferita al periodo in cui hanno commesso il reato. Altro campo
interessante per la valutazione delle responsabilità penali è la
frenastenia, che spesso viene utilizzata o spinta a livelli maggiori,
fino all’idiozia, per rivendicare una forte disabilità mentale, con
mancanza di responsabilità, per incapacità di intendere e di volere.
Comunque la clinica moderna consente di indagare con maggiore
oculatezza, servendosi di strumenti psicodiagnostici, al fine di
stabilire quanto di oggettivo ci sia nella diagnosi formulata e quanto
invece possa essere frutto di simulazione. Una cosa è certa, oggi
l’analisi clinica tende ad accantonare il concetto di classificazione
psicopatologica mediante la categoria nosografica, mirando a formulare
la diagnosi sul singolo malato che, per la fenomenologia moderna, deve
occupare quella centralità che spesso le linee di metodo e la scolastica
gli hanno negato, causando così, specie nei grandi crimini, un grave
stato di confusione e di depistaggio.
Menzogna – Violenza
Vediamo ora di capire, al livello del pensiero puro, privo cioè di
qualsiasi fine giurisprudenziale, sociale o culturale, ma tendente solo
a dare una definizione trascendentale, in senso fenomenologico, al di là
e al di qua della piena immanenza e del significato storico, della
simulazione, se la menzogna e l’inganno, che normalmente danno
corpo alla simulazione, sono da considerare violenze. Sappiamo che , di
solito, si usa la menzogna o l’inganno quando si vuole spingere un
soggetto a fare una cosa che si vuole che egli faccia ad ogni costo, o
si vuole spingere il soggetto a non fare una cosa che non si vuole che
egli faccia. In entrambi i casi l’azione viene a costituire una
forzatura della volontà di chi fa o non fa, per il soddisfacimento di
un’altra volontà esterna, perciò il fare o non fare, con un atto di
menzogna forzata, è, verso chi la fa, una violenza. Anche quando la
menzogna serve al soggetto che mente, senza che questo subisca alcuna
forzatura, ci troviamo di fronte ad una condizione di violenza perché,
in ogni caso si mente a partire dalla presa di coscienza di uno scacco
esistenziale. Chi mente, dopo aver commesso un grave reato, sa di avere
sbagliato e di avere violato le leggi e per evitare di subire la pena,
vista come una violenza, data la presa di coscienza dell’errore
commesso, reagisce con un’altra violenza verso gli altri, imbastendo una
simulazione. Il reo sa di aver commesso un reato, ma non accetta la
condizione irreversibile di sentirsi reo, senza possibilità di riscatto,
e vive la sua nuova condizione di reo come una violenza. La sua
simulazione pone in essere uno stato di violenza verso gli altri e verso
le leggi, ma, nello stesso tempo, rappresenta un modo più attuale di
presentarsi al mondo come soggetto che ha commesso un reato, ma non si
sente reo senza possibilità di scampo, come invece le leggi impongono
per la validità del giudizio. Se il mondo esterno appare al reo
contrario al suo desiderio, egli si adopera a mascherare la realtà non
condivisa dagli altri e a servirsi di strumenti che si sceglie, pur
sapendo che le premesse sono false. L’aspetto più complicato di tale
confronto di azioni, tra l’io che mente e gli altri, è quello di capire
quanto di questo agire sia considerato e vissuto quale libertà e quanto
invece questa libertà sia posta come oggetto. Per esempio, se io voglio
essere lodato da chi mi giudica, mi attribuisco la realizzazione di
azioni positive, anche se non l’ho compiute. Altrettanto, se nego di
avere commesso un’azione negativa è solo perché voglio evitare che mi si
neghi la lode e venga considerato un essere negativo e abietto. Comunque
un giudizio, di lode o di biasimo, ha valore soltanto quando viene
espresso liberamente e senza alcuna ombra di violenza interna o esterna.
Pertanto, sapendo che la lode ha bisogno della piena autonomia per
essere vera e per far parte di un autentico principio di libertà, chi
riceve una lode reclama sempre la condizione di libertà per chi mi deve
lodare, altrimenti la sua lode è una falsa lode, che nasce dalla
costrizione e dalla mistificazione della realtà. Quando la lode viene
espressa da un soggetto libero, chi la riceve è come se esigesse il
consenso di tutti gli uomini liberi e perciò tale lode si presenta come
un premio universale. La libertà in tal caso si presenta in tutta la sua
spontaneità che, in quanto dà valore ad un valore, può continuare ad
elargire tale valore anche al non valore, quando questo si presenta in
una veste di credibilità costruita, ma non vera, ingenerando in chi
crede un atto di fede. Chi crede nella libertà può essere vittima di
errore di valutazione della verità che sostiene, in un atto di fede, la
libertà dell’altro, anche se questo ha sostituito, con grande abilità,
che diventa spontaneità, il valore con la menzogna. Quando questo
accade, la libertà precipita nell’immanenza, attraverso un elaborato
processo immaginario, facendo credere che tale libertà immaginaria è la
libertà vera, ma sappiamo invece che è frutto di immaginazione e di
menzogna e che il superamento della realtà non può essere vero in quanto
non è vera la libertà costruita come realtà con la menzogna; se è falsa
l’immaginazione che rappresenta la libertà, oltre ogni immanenza, è
falsa anche questa libertà che si propone come nuova verità, senza che
ne abbia i presupposti. Quindi una libertà che si pone come superamento
di una situazione, negata mediante un nuovo modello di realtà,
costruito, seppure spontaneamente, con la menzogna, non può essere
reale, come, di conseguenza, è irreale lo stesso atto di superamento di
una realtà che tenta di superarsi nella menzogna, che il soggetto
presenta come nuova verità, servendosi di una spontanea immaginazione.
Quando un reo, che vuole sfuggire alla sua condizione di soggetto che ha
commesso un reato, costruisce, nel suo immaginario, una situazione
irreale, spacciandola poi come reale, attraverso varie macchinazioni,
servendosi della menzogna e simulando sotto ogni profilo, si pone il
fine di far credere agli altri che tale situazione sia una situazione
reale avendo trasceso una situazione (quella del reato) sostituendola
con una nuova, nella quale la falsità si propone come verità, su cui
poggia il senso del superamento. Se però la situazione è immaginaria,
perciò non vera, ma costruita per il fine particolare di negare un fine
universale (quello delle leggi e della giustizia, intese come libertà)
anche il superamento è irreale e perciò non crea nessuna nuova
situazione, ma la supplisce, inventandola, nell’immanenza. Una vera
libertà, che presuppone un’altrettanto vera verità, deve potere
trascendere, in ogni momento, il singolo soggetto, come altrettanto il
singolo deve poter trascendere la realtà in ogni momento della sua
esistenza, senza dover ricorrere mai all’immaginario o alla falsa
costruzione di una realtà. Una libertà che si serve della menzogna e
quindi dell’immaginario, per sostenere il legame, necessario ad ogni
forma di coerenza nei confronti della verità e perciò dell’essere-con,
tra l’io e il mondo, deve avere la qualità di base dell’essere-nel-mondo
e non di essere-in-mezzo-al-mondo.
Prof.
Antonio Vento
26-10-11
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