Università degli studi di Roma La Sapienza |
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Massimo Cacciari e le sue “Parole nel vuoto”. Dispiace molto constatare che ormai si è tutti confusi e, in un certo qual modo, stanchi, ma la cosa che colpisce i più critici, quelli che pensano per strada e non si impressionano dei giudizi perché aspirano all’essenza delle cose, è il fatto che ormai il livello del pensiero e l’espressività etica sono scesi così in basso fino a disperdersi in uno stato di incomunicabilità e di disperazione generale. Un tempo leggevo qualcosa del giovane Cacciari e intravedevo nel suo lavoro almeno una speranza omogenea di socialità marxista, dove il lavoro, come il linguaggio e la politica esprimevano un senso ed uno schieramento ideale. Oggi, il linguaggio (e quindi la parola) non rappresenta più la “casa” di Heidegger, neanche la “baracca” e non è più il tempo in cui Zarathustra si ritira sulla montagna per pensare: oggi è il tempo in cui la filosofia si mortifica e scompare per colpa dei filosofi. Cacciari si rivolge a Monti in atteggiamento genuflesso, da comune cattolico che si inginocchia davanti al papa, per pregarlo a non desistere, a candidarsi nelle prossime elezioni politiche, perché un ulteriore fallimento della politica, con un governo Monti bis, aumenterebbe il disagio degli elettori e quindi l’astensionismo. Ma perché pregare in ginocchio Monti, il professore, e non invece cercare di parlare con la gente che disperata non sa più come risolvere i problemi della vita quotidiana perché le viene negato il ruolo storico e conta soltanto perché deve pagare le tasse che un sistema antidemocratico decide giorno per giorno. E’ conturbante il fatto che un filosofo come Cacciari curi, in un momento come questo, il linguaggio formalmente colto, passando dal suo inglese sofisticato al latino accademico, che ormai è stato bandito dalle nostre scuole per lasciare spazio alle lingue straniere e al linguaggio tecnologico (e nessuno se ne preoccupa). Non ci si cura più, con semplicità e con umiltà, del linguaggio dei lavoratori, dei disoccupati, degli emarginati, dei sofferenti e così via; si invoca invece il “dio” Monti, come se lui possa guarire i mali del paese, senza ricordare che Monti ha già un lavoro e una missione da svolgere, quelli che le banche gli hanno affidato: rafforzarle a spese della gente, caricandola di oneri fiscali che non gli appartengono e servono soltanto per curare i mali di un capitalismo vecchio e decrepito; le trasfusioni vanno fatte con lo stesso gruppo sanguigno se non si vuole causare una generale coagulazione e quindi la morte. Le tasse, se veramente servono per colmare il debito “pubblico” (che pubblico non è perché appartiene ai governi antidemocratici e alle banche, col servilismo della politica e oggi, con Cacciari, purtroppo, anche della filosofia) le devono pagare i detentori della ricchezza, di quel plusvalore che adesso anche Cacciari si vergogna di chiamare in causa, perché oggi ogni inflessione marxiana ingenera disagio, di fronte al liberismo accattivante. Il filosofo scrive a Monti: “Non resti a metà: i tiepidi, dice l’Apocalisse, saranno sputati nel giorno del giudizio”. Solo che ormai i tiepidi sono la maggioranza, compresi i partiti e lo stesso Cacciari. Antonio Vento 18-11-12 |
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