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LAVORO E MOBBING Hegel, nella sua
“Fenomenologia dello spirito” definisce il lavoro con queste parole: “Il
lavoro…è desiderio tenuto a freno, è scomparsa trattenuta: il lavoro
forma…Questo mezzo negativo, o l’operazione formatrice, costituiscono in
pari tempo la singolarità o il puro essere-per-sé della coscienza.
Questo essere-per-sé, nel lavoro, esteriorizza se stesso e passa
nell’elemento della permanenza; la coscienza che lavora giunge quindi
all’intuizione dell’essere indipendente come di se stessa…Nel padrone,
la coscienza servile ha l’essere-per-sé come un altro…; nel formare, l’essere-per-sé
diviene per essa il suo proprio essere, ed essa giunge alla
consapevolezza di essere se stessa in sé e per sé”. Quindi, per Hegel,
lo schiavo col lavoro, che in ogni caso lo sottopone alla produzione ed
all’umore del padrone, raggiunge la sua formazione, in una sorta di
essere, e ne prende pure coscienza: col Mobbing questa coscienza gli
viene strappata, lacerata, annullata. Certamente la moderna concezione
di lavoro analizzata da Hegel, non è quella di oggi: la produzione non è
più imposta in una catena di montaggio, dentro la fabbrica, ma rende
partecipe il lavoratore nei progetti produttivi, che si trasformano
continuamente col progredire della tecnologia: solo che il progredire
tecnologico, pur includendo il soggetto che produce nella crescita
dell’abilità produttiva, lo esclude, sempre più dal senso di padronanza
che l’io vorrebbe avere verso se stesso, nel processo di produzione, e
quindi nella possibilità di raggiungere un livello di coscienza tetica e
di morale del ruolo, che non sono più connesse ai principi esistenziali
ed ai bisogni affettivi, ma ad un principio di rendimento dal quale si
sente totalmente estraniato. Prof. Antonio Vento
Roma
01-01-2009
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