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LA VIOLENZA COME ARMA DI DIFESA
E’ da tempo che faccio mia, a partire da una intuizione, l’idea che
l’uomo non sappia ritrovare se stesso, avendo perso la sua iniziale
condizione di equilibrio con l’energia e si è inabissato, lungo il
fluire del tempo, nel pozzo profondo e confuso della conoscenza: ha
rinunciato quindi alla contemplazione del suo essere assoluto per
dedicarsi, forse forzatamente, per la paura dell’ignoto, al suo meschino
esserci di tutti i giorni, che gli sfuggiva sempre più dalle mani,
perché tutto programmato e costruito. Non ha avuto più il suo innato
sentimento di libertà ed ha dovuto subire la sgradevole sensazione del
determinismo e della schiavitù. Da qui il suo crescente disagio e la sua
scarsa adattabilità al mondo.
Ma veniamo alla confusa letteratura che si è scatenata in seguito alla
violenza espressa dai giovani davanti allo stadio di Catania, dove si
consumava una partita di calcio contro il Palermo. Partiamo intanto dal
presupposto che nella storia della semantica è stato sempre fatto un uso
improprio delle parole e si è voluto dare alla parola ‘agonismo’ (che
proviene dal latino ago, cioè fare, agire) un valore di ingenuo
confronto sportivo tra due parti: questo non è assolutamente, perché
alle spalle di tale definizione si snocciola un mondo di interessi e di
sopraffazioni che l’uomo stesso ha voluto. Abbiamo allora visto crescere
il potere dei soldi e, di pari passo, la svalutazione dell’essere: al
lavoro dell’individuo è stato attribuito un valore virtuale, che non
risponde certo al significato di produzione, bensì di speculazione;
ricordo quando qualcuno ha pensato di dare il via alla quotazione in
borsa per le squadre di calcio ed io, in una trasmissione televisiva, mi
azzardai a dire che questo fatto poteva costituire l’inizio della fine
per lo sport, che doveva essere, per la semantica, solo agonismo, e come
mi risero in faccia i giornalisti sportivi, ritenendomi ingenuo e di
altri tempi, loro i moderni e gli intelligenti.
E’ proprio vero che il ragazzo (e tra gli arrestati dinanzi allo stadio
di Catania mi pare che circa il 50% erano minorenni) va davanti agli
stadi solo per tifoseria (anche qui riscontriamo un abuso semantico per
il significato di morbosità che può avere questa parola) o perché
aizzato dalle società sportive? Non è così, cari opinionisti e
imbrattatori di carta, quel ragazzo va lì, dopo ore e giorni di
solitudine e di depressione, scoglionato di tutto ed anche di se stesso
(in non pochi casi si suicida, lasciandoci confusi a pensare, per capire
quale possa essere stata la causa di quell’insano gesto, lungi dal
credere che la responsabilità possa annidarsi nella famiglia, nella
scuola o nella società). Non ci viene mai da pensare che questo ragazzo
si possa sentire disperatamente abbandonato ed inadeguato, specialmente
di fronte a sconsiderati messaggi di successo sociale con l’economia: un
calciatore che guadagna decine di milioni di euro o una bambina che
anela sfilare sopra una passerella di moda, piuttosto che leggersi i
‘Promessi Sposi’ del Manzoni per acquisire qualche valore ed evitare i
suoi disagi alimentari; questo cozzerebbe contro i sogni e contro gli
interessi dei genitori, che non sanno però che, così facendo, accentuano
il solco che li separa dai loro figli. E che dire poi delle continue
frustrazioni che questi ragazzi avvertono quando, non avendo un lavoro,
non possono usufruire dei beni di consumo tanto pubblicizzati dalla
nostra società? Come comprarsi le scarpe con la firma o il pantalone di
moda? E’ proprio di questi giorni il raggiro governativo della
rottamazione dei motorini che non possono più circolare perché ritenuti
inquinanti (senza però preoccuparci del grande inquinamento), ma non
possono usufruire dell’incentivo promesso perché le amministrazioni
regionali (che tanto hanno sperperato) non hanno i fondi: non ci
dobbiamo stupire se i ragazzi decidono di non disfarsi del vecchio
motorino e scappano davanti ad un posto di blocco, rischiando di essere
investiti in un inseguimento delle forze dell’ordine o peggio. Se le
premesse sono queste (come lo sono) non possiamo aspettarci una crescita
culturale dei ragazzi, bensì un imbarbarimento ed una visione del mondo
e della vita dove è più spiccato il vecchio concetto di Hobbes: homo
homini lupus. E non dimentichiamo che le cose si stanno aggravando
sempre più nella multirazzialità e nei grandi problemi che con essa
arrivano: anche i ragazzi che vengono dagli altri paesi, carichi delle
loro frustrazioni, si scontrano con le delusioni e con le mancate
aspettative ed automaticamente reagiscono non rispettando le leggi e le
istituzioni. A mio avviso (quello di psichiatra e di criminologo) sono
vicini i tempi (come diceva il Vico dei corsi e ricorsi storici) della
ripresa di un conflitto contro la società, vista come nemica, ed in
questo conflitto crescerà l’alleanza tra i ragazzi delle nostre città ed
i ragazzi immigrati: è paradossale come la solidarietà tra le due parti
debba crescere attraverso la violenza. Nel ’68 e all’inizio degli anni
’70 i giovani di tutto il mondo si conobbero, abbattendo le frontiere,
allora anguste, sulle piazze delle metropoli, ponendosi in rottura con
le istituzioni e con la falsa consistenza delle democrazie; adesso i
ragazzi s’incontrano negli stadi o nelle discoteche, ed è lì che
manifestano la loro rabbia e cercano un varco verso la libertà, per
potere fuggire dalla sgradevole sensazione di solitudine e di
depressione, che possono portare al suicidio; l’attuale modo di esistere
non piace ai ragazzi di oggi e non possiamo fare come lo struzzo che
nasconde la testa sotto l’ala quando avverte un pericolo. Dobbiamo
iniziare ad agire per una reale rinascita, con la cultura e con il
lavoro. Le soluzioni che, di fronte a questi problemi, offrono i
politici sono inadeguate e talvolta “ingenue”: devono essere chiamati in
causa i veri pensatori e non i mistificatori del sapere, altrimenti non
si esce fuori da questo disagio collettivo
Iniziamo col dire che non si risolve il problema della violenza negli
stadi, interrompendo il campionato di calcio (anzi questo costituirebbe
un punto a vantaggio di eventuali gruppi di facinorosi, che magari
strumentalizzano l’ingenua richiesta di libertà della maggioranza dei
ragazzi, come accadeva nei cortei degli anni trascorsi, quando
infiltrati o, perché no, agenti dei servizi, scatenavano scontri di
piazza che finivano anche tragicamente).
La visione degli scontri tra ragazzi e forze dell’ordine, davanti allo
stadio di Catania, ricordava scene di guerra, come a Beirut o a Gaza, ma
non illudiamoci che queste scene possano sparire aumentando i controlli
e le perquisizioni; quando lo scontro si vuole si sa pure creare. Serve
invece offrire speranze concrete a questi ragazzi, facendoli sentire
parte attiva della nostra cultura e della vita.
Le partite, intanto, si devono fare, senza pubblico, anche se questo
richiede aggiustamenti economici e di potere, ma lo sport non deve
essere speculazione: per esempio si può (anzi si deve) istituire una
tassa milionaria sugli ingaggi e sugli stipendi dei calciatori e dello
staff che li segue e con questi soldi sostenere le società per il
mancato ingresso dei “tifosi” negli stadi; così pure per i mezzi di
comunicazione che devono adeguatamente pagare per le immagini e per le
notizie diffuse in materia di calcio (è come dover riconoscere i diritti
di autore).
Risparmieremmo tanto in difesa e in controlli inutili e, forse anche, in
salute e vite umane, il cui valore è incommensurabile, come è
incommensurabile il dolore della famiglia dell’ufficiale, morto
nell’espletamento del suo lavoro: alla sua memoria dedico questa mia
riflessione.
Prof.
Antonio Vento
3 febbraio 2007
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