Università degli studi di Roma La Sapienza |
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Come giustamente affermava Husserl, nella sua “Crisi delle Scienze Europee”, il percorso della filosofia, da Hume a Kant, per arrivare ai nostri giorni, è un continuo percorso di fallimento del pensiero. I filosofi, ad eccezione delle massime figure, si preoccupavano e si preoccupano di sopravvivere, in quanto singoli pensatori, ignorando i principi fondamentali di una necessità assoluta, che la filosofia avrebbe dovuto esprimere e realizzare, di raggiungimento di un concetto di teoresi che garantisse l’universalità e la perenne continuità del pensiero, in uno stato di continua verifica con le scienze positive e con la psicologia, anch’essa come scienza positiva, che si preoccupavano e si preoccupano di raggiungere un fine epistemologico soggettivo. E sono state proprio le scienze positive (dalla fisica alla matematica e alle scienze della natura, fino alla moderna tecnologia) a decapitare, strada facendo, la filosofia, con la complicità della debolezza morale dei pensatori e della scarsa fiducia nella ragione, privata del suo valore universale, nel suo significato cartesiano. Oggi esistono i pensatori che si pongono soltanto, come fine, l’obiettivo di tranquillizzare se stessi e i propri lettori; hanno rinunciato al valore apodittico del pensiero e alla necessità ontologica di costruire, con la filosofia, una scienza universale, capace di dare unità a tutte le altre scienze. Si preferisce il silenzio all’ipocrisia, utilizzando le idee per scopi biechi e astratti, che nulla hanno a che vedere con la stessa filosofia come scienza. Ormai è chiaro che la fede che l’uomo aveva per la filosofia, dall’era classica fino al pensiero dell’ottocento, è andata vacillando sempre più, fino a sparire, nei nostri giorni, sentenziando così la sua fine. Diciamo intanto che le scienze positive ed ogni loro scoperta, come la teorizzazione dei buchi neri o come la teoria economica di una globalizzazione del mercato o come ogni grande scoperta della medicina, per non parlare dell’informatica e della tecnologia, pur essendo tutte conquiste importanti, seppure specificamente, con risultati scientifici certi, tuttavia non possono sfuggire al concetto di fallimento, in quanto tutte rappresentano una parziale definizione di una conoscenza che non considera l’uomo nella sua profonda essenza, continua ed universale, come includente le infinite dimensioni del tempo e dello spazio ed i grandi valori della libertà e dell’eternità, ma lo relega ai margini della realtà e lo priva di ogni sapore metafisico. Ognuna delle scienze positive si adatta alle esigenze, sempre più asfittiche, delle direttive storiche, delegando in questo compito la ragione, già computerizzata e programmata dalla psicologia, dalla sociologia, dall’economia e dalla politica, per il raggiungimento di un fine parziale, che ignora il senso della trascendentalità ontologica e si apposta in una posizione di conoscenza acritica. E’ certo che se i pensatori del momento si vogliono riscattare, uscendo fuori dallo stato di ambiguità in cui si sono lasciati andare, e se si intende riportare, con coraggio, necessario per superare un lento adattamento del pensiero ai metodi di una logica astratta, alla luce la filosofia, è necessario che ci si inizi ad incontrare, per aprire un dibattito trasparente, nel senso della pura trascendentalità, al fine di raggiungere un accordo, contro ogni personale ostilità ed ogni stupida presunzione metodologica. Prof Antonio Vento – cell. 338.7710372 26 novembre 2009 |
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