Università degli studi di Roma La Sapienza |
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Dovrei essere contento per aver azzeccato i risultati, e quindi per aver dato ai miei lettori un segnale di correttezza d’analisi socio-politica, ma non sarei onesto con me stesso, e con quanti visitano con piacere e con speranza di maggiore chiarezza questo sito, se non ammettessi la mia malinconica percezione di crisi nei confronti di una situazione storica che nulla garantisce per il prossimo futuro. Non garantisce soprattutto la sicurezza di un lavoro e quindi pone l’attenzione sulla fragilità economica della famiglia e, di conseguenza, sull’instabilità dell’economia e della sicurezza sociale. Intanto continuano ad entrare nel nostro paese tante bocche da sfamare, che, seppure a gocce, succhiano la poca linfa di vita che ci resta, giustificando il tutto con l’umanitarismo filantropico; ma guai a non capire che questo che stiamo vivendo è un periodo di emergenza nazionale e che le nostre risorse finanziarie vanno tutte concentrate e mantenute disponibili per il nostro paese. Se non si ha questa capacità di analisi, ben presto raccoglieremo i frutti di uno stato di confusione sociale e di crisi finanziaria, che renderà possibile quello che finora è stato diligentemente evitato, cioè la concomitanza storica dei due fattori essenziali per ogni stravolgimento politico, la crisi oggettiva, legata alla crisi delle risorse sociali, specie alla crisi del mondo del lavoro, con le conseguenze sui rapporti che non sono più di classe, e questo non è certo un bene perché non garantisce più delle regole di reazione attraverso i partiti e i sindacati che, nonostante la crisi istituzionale, rappresentano sempre una cinghia di trasmissione tra governo e mondo del lavoro, ma sono rapporti improntati sull’emotività delle reazioni, spesso imprevedibili e comunque fuori dalle regole istituzionali e contrari alle leggi attuali, e la crisi soggettiva, delle coscienze che non sopportano più lo stato di disagio continuo al quale sono costretti a sottostare, senza alcuna prospettiva per il futuro del paese. Non dimentichiamoci che accanto alla crisi dei partiti ognuno di noi ha vissuto il grande disagio provocato dalle banche, che hanno violato le regole della correttezza di gestione delle risorse finanziarie affidate a loro; ognuno di noi ha assistito al collasso della lira con l’avvento dell’euro e alla conseguente lievitazione dei prezzi, che ha accentuato ulteriormente la crisi economica e sociale della famiglia; abbiamo assistito al degrado crescente, che ancora continua in una sorta di stillicidio, della nostra cultura e delle nostre grandi tradizioni, compresa la crisi della lingua e del classicismo a vantaggio di un tecnicismo al quale il nostro paese non è ancora abituato e verso il quale non si accenna ad andare, per l’ambiguità della scuola italiana e per una nostra innata tendenza alla conoscenza umanistica; invogliati da falsi consiglieri del sapere e da cattivi gestori della nostra economia, abbiamo abbandonato la strada dell’utilizzo delle nostre risorse, specie quelle turistiche ed artistiche, per avventurarci in imprese, quelle della tecnologia, dove altri, prima di noi avevano avviato da tempo la ricerca, investendo cifre consistenti per mantenere il loro primato, dove invece le nostre università, alquanto degradate per la subalternità degli interessi, non hanno investito una lira. I nostri giovani sono dovuti andare fuori del paese per cimentarsi nel mondo della ricerca, privando così il paese stesso di grandi risorse finanziarie e di prestigio storico. Si è venuto così a creare l’identico processo che i popoli sottosviluppati economicamente hanno messo in atto con l’emigrazione, alla ricerca di lavoro e di salario, con la fuga dei nostri cervelli, emigrati verso quei paesi dove si investe in ricerca scientifica ed in cultura gestionale e delle comunicazioni. Se i primi sono da considerare terzomondisti, riferendosi all’economia ed al mercato, i secondi, cioè i nostri giovani, sono da considerare altrettanto terzomondisti, riferendosi alla ricerca scientifica e alle arti creative, che ormai i nostri governi hanno trascurato, convinti che la ricchezza del paese possa derivare solo dalle innovazioni. Il pareggio della politica, nelle elezioni, non deve essere affrontato, come i politologi stanno facendo, quale scontro tra due stili di vita, dove invece la vita stenta a confermarsi : Berlusconi e Prodi sono solo due simboli, tristi simboli purtroppo, che non risolvono certo i nostri problemi e quelli del paese; sono due farse viventi che gareggiano, con i loro tristi seguiti, per l’appropriazione ingiusta del potere, incuranti delle altrui sofferenze e pronti sempre a raccontare menzogne per carpire la buona fede degli uomini semplici; in tutto questo è venuta a mancare anche la tradizionale figura patriarcale della donna, che classicamente proteggeva i figli e la famiglia, per arrogarsi un ruolo storico di competizione e di stile identico a quello espresso dagli uomini; sono poi crollati i classici valori della società e sono venuti meno i riferimenti esistenziali, che davano compattezza psicologica e fede nella vita, lasciando i giovani nella crisi spirituale e nel profondo terrore della solitudine. Cosa fare, allora? Non si tratta di cercare alchimie politiche ed elettorali, quali aggiustamenti dei guasti insanabili che la politica ha prodotto nel dopoguerra; si tratta invece di ritornare al nostro tradizionale umanesimo : la Chiesa deve smetterla di ciurlare nel sacco della fede, che deve essere intesa non solo come pura aspirazione alla trascendenza, ma come scuola di preparazione alla morte, alla quale arrivare con la coscienza della giustizia e dell’umana partecipazione alla vita; la Chiesa invece spesso si propone come uno stato che si confronta politicamente con altri stati, non offre la grazia della sua sensibilità e la forza del suo carisma etico per il raggiungimento di una convivenza giusta e pacifica; è arrivato il momento che si ponga a fianco dei suoi seguaci per indirizzarli e sorreggerli in questo arduo compito che la storia ci pone prepotentemente. Se questo non sarà fatto, assisteremo al rinascere del terrorismo, quello nazionale, magari alleatosi col terrorismo islamico, pronti a far soccombere la nostra civiltà nel baratro della confusione storica e della dissociazione mentale. Berlusconi e Prodi lottano per i loro specifici interessi, noi dobbiamo preoccuparci del destino di tutto il popolo italiano e dei nostri figli, in un mondo che aspiri alla pace e alla giustizia universali. Non credo comunque che, dati i veleni circolanti nelle arterie dei nostri attuali politici, si possa sperare in un accordo provvisorio, mirato alla gestione convergente del nostro paese, credo invece che sia più probabile un ritorno alle urne, dopo avere però operato un ripensamento generale sugli schieramenti, omogeneizzandoli al massimo ed evitando le strategie di potere; sarebbe opportuno evitare tutta la propaganda, rendendo visibili solo i programmi politici, da rispettare inderogabilmente. Si eviterebbero la vergogna e la rissosità che negli ultimi tempi hanno caratterizzato i confronti politici, offrendo ai giovani un pessimo esempio di governo. A proposito dei giovani, credo che tocchi a loro il merito di aver fatto vincere lo schieramento di centro-sinistra alla Camera dei Deputati, i loro voti sono mancati al Senato, non potendo votare perché la legge elettorale non glielo ha consentito. Berlusconi avrebbe fatto meglio a dialogare con loro, sui problemi che li assillano e sulle prospettive di lavoro che mancano, invece di sfoggiare la sua megalomania e la propaganda peroniana, che ormai non convince nessuno: non siamo in Argentina, il nostro paese è la culla della civiltà, da cui si è diffusa la cultura e dalla quale sono nate le lingue neolatine. Invece di additare gli americani quale simbolo del presente e del nostro futuro, dovrebbe ricordare i padri della nostra cultura, da Virgilio a Seneca ed Orazio, da Ippocrate a Campanella, da Galileo a Marconi e così via. E permettetemi di chiudere con i versi del grande nostro poeta, Dante Alighieri: “Povera
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