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IDEA PER UNA CRIMINOLOGIA COME SCIENZA

La Criminologia è la scienza che si occupa dell’analisi dei reati perseguibili penalmente, dei soggetti che compiono tali reati, della scena del crimine o sopralluogo, della ricostruzione della dinamica con cui il crimine viene consumato, quindi il modo come viene eseguito, gli strumenti adoperati per compiere l’atto criminoso ed infine il movente. Fin dal suo inizio, cioè dal settecento, che la vede nascere istituzionalmente dall’interessante opera di Cesare Beccaria, “Dei delitti e delle pene”, la Criminologia è stata sempre una scienza multidisciplinare, alla ricerca di una sua precisa identità. La scuola di Beccaria, che si imposta sui principi liberistici del diritto penale, prende il nome di cosiddetta  Scuola Classica. L’autore aveva capito che non è la gravità della pena, né la tortura a dissuadere il criminale a compiere reati; si rende anzi conto che uno stato, che egli definisce forte, solo per l’applicazione di leggi pesanti, ma che forte non è perché la forza di uno stato, come di qualsiasi altro ente sociale, poggia sempre sulla sua capacità di sviluppare elementi positivi e conservativi per la specie. Quindi non è mai l’applicazione pesante delle leggi che garantisce la giustizia, bensì la prevenzione che si avvale sempre di una considerazione umana del soggetto che commette il reato, con la sua personalità specifica, le sue debolezze e le sue strutture anatomiche e funzionali. La verità, dice Beccaria, è che le leggi, almeno nel XVIII secolo, erano leggi che garantivano la società e il potere e che non si ponevano certo il problema della responsabilità legale e morale del soggetto indiziato, che veniva sottoposto a torture e giustiziato con la pena di morte, mediante confessioni estorte con la violenza: questo, a sua volta, comportava una disaffezioni alle leggi, che spesso premiavano il colpevole e punivano l’innocente, causando una grave ed errata valutazione del soggetto indagato e del reato stesso. Il secolo seguente, cioè l’Ottocento, assiste al fiorire della Scuola Positiva, che pone contemporaneamente l’attenzione sull’uomo che commette il reato, analizzando la sua struttura medico-biologica, mediante l’antropologia criminale, e sull’ambiente in cui il reato nasce e si sviluppa, in varie forme differenziate, che nascono in funzione di vari fattori sociali, come l’appartenenza a un ceto sociale, la cultura, l’economia e la religione. Quest’ultimo elemento di riflessione ha acquistato, ai nostri giorni, col fenomeno dell’immigrazione, maggiore rilevanza. Cesare Lombroso, con l’approccio medico-biologico, ha dato, nel XIX secolo, un forte impulso alla Criminologia italiana, rendendola conosciuta e studiata in tutto il mondo, quale scuola positiva, quando in tutto il resto dell’Europa si diffondeva la filosofia positivistica, a partire dalle teorie di Augusto Comte. Cesare Lombroso iniziò i suoi studi antropologici occupandosi dei pazzi e dei criminali, intravedendo in queste due categorie umane l’impronta di una sorta di primitivismo che giustificava la loro “devianza dalla normalità storica”. Concentrò, in un primo momento, la sua attenzione sullo sviluppo delle ossa craniche, specie di quello occipitale, individuando alcune anomalie congenite, che avrebbero influenzato negativamente l’attività del cervelletto e avrebbero interferito sull’evoluzione embriogenetica del cervello, allo stato di feto. Quindi si rifaceva alla teoria evoluzionistica, avallata anche da ricercatori inglesi e dallo stesso Golgi, che indagavano sulla pazzia, riscontrando una inefficiente capacità cranica nei soggetti autori di atti criminali. Da questi studi prende quindi corpo la teoria dell’ “uomo delinquente”. I suoi studi, altamente deterministici, avallavano l’idea che, alla base di tali disturbi, la pazzia e l’atto criminale, erano entrambi aspetti anomali del comportamento, influenzati direttamente da una stessa causa patologica, cioè l’epilessia. Nel tempo, però, si allontanò alquanto da tale teoria e si accostò sempre più ad un’interpretazione evoluzionista, presentata in “Genio e Follia”. Si rese conto che gli stessi “pazzi”, talvolta, slatentizzano genialità e passioni. I suoi studi però, sul piano della correttezza scientifica della ricerca, presentavano gravi lacune e quindi erano soggetti a scarsa credibilità, perchè egli non si servì della tecnica  di confronto tra due gruppi, utilizzando una popolazione sana oltre a quella classificata folle o criminale e quindi lasciò il dubbio della casualità delle anomalie organiche riscontrate, che perdevano così il valore della causalità, da lui attribuito. Perciò, se i suoi studi hanno avuto un’importanza fondamentale nello sviluppo dell’analisi criminologia, non hanno individuato bene gli elementi necessari per fare della Criminologia una vera scienza. Queste premesse hanno lasciato la soluzione dei crimini nella spontaneità del caso, che talvolta ingenera conclusioni errate o, come succede ai nostri giorni, vedi Cogne, Garlasco o via Poma, il mancato esito investigativo. La così detta Criminologia Moderna, cioè quella dei nostri giorni, si presenta come scienza multidisciplinare, proprio perché, mancando un supporto unitario di base, apre a tutti gli studi che fanno riferimento al comportamento e alla devianza, che si arrogano il diritto di dare una risposta investigativa a partire da se stessi. Diventa perciò più una questione di metodo che un procedimento scientifico.  Ci rendiamo conto che oggi il compito primario che la Criminologia si pone, mettendo un po’ da parte le aspirazioni ad un riconoscimento scientifico, al di sopra degli stessi eventi che costituiscono la fenomenologia dei principali delitti, come l’omicidio, la violenza sessuale, l’uso e il commercio di sostanze stupefacenti, i gravi reati economici e finanziari nell’ambito della burocrazia, la delinquenza  organizzata e quella comune, il terrorismo e così via, è quello della così detta “Nuova Difesa Sociale”. Non si guarda più ad una causa criminologica unica ed universale, non trovandoci più in una realtà sociale ben classificabile ed individuabile – basta pensare ai grandi mescolamenti culturali e antropologici, conseguenti alle numerose emigrazioni intercontinentali - ma proprio per tale ragione spesso si perde di vista il significato scientifico delle disciplini, che hanno bisogno di un fondamento unitario per essere riconosciute tali, accontentandosi di risposte funzionali ad una sorta di sociologia positiva, che sappia creare le adeguate situazioni per un diffuso senso di Sicurezza Sociale. Quindi si cade, molto spesso, in situazioni di carattere puramente repressivo, trascurando il vero valore che una scienza umanistica deve saper garantire, cioè la prevenzione e il riconoscimento della centralità dell’uomo. E’ ovvio che per una politica di prevenzione rispetto al crimine (come già nel settecento affermava Cesare Beccaria) vanno individuati percorsi diversi, con opportuni trattamenti, mirati ad un recupero sociale, come lo studio, il lavoro, l’affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare ecc., il cui fine non è solo quello di fare scontare la pena, come elemento di punizione per i reati commessi, quindi solo di valore penalistico, ma di sottoporre il soggetto che ha commesso un reato a riflessioni ed a ripensamenti storico-culturali, perciò antropologici ed etici, necessari per un suo reinserimento sociale. Un elemento nuovo che noi psichiatri e criminologi, e non solo, ma anche gli uomini di cultura e le diverse discipline umane, dovrebbero riconoscere e prendere in seria considerazione è che la devianza, in assoluto, è sempre frutto di una profonda disarmonia tra l’io, con la sua complessa interiorità, e la realtà esterna, cioè gli altri, le cose e il mondo. Quando l’individuo perde il suo sentimento di compattezza con l’ambiente in cui vive e si rende conto di una sua incontrollabile fragilità esistenziale e sociale, non trovando più riferimenti utili al suo senso di sicurezza e di rapporto con gli altri, facilmente perde il controllo delle sue pulsioni e le scelte che fa sono scelte che esulano dal mondo della logica e si definiscono per l’istintualità irrazionale che esprimono. Possiamo perciò affermare che alcuni comportamenti delittuosi si differenziano da altri comportamenti illogici e talvolta dissociati, che possiamo, ad esempio, riscontrare nel disagio psichiatrico, solo perché causano danni tangibili al patrimonio e alla sicurezza fisica dei cittadini. Nel primo caso interviene la Psichiatria a tentare di ripristinare un ordine sociale; nel secondo caso è il Diritto Penale e la condanna per il reato commesso a dare alla società la certezza di una Difesa Sociale. La Criminologia deve comunque, come scienza unitaria che si pone il fine di chiarire le dinamiche che hanno causato un atto delittuoso in un contesto sociale sotto il profilo della criminogenesi e della criminodinamica, porsi come scienza a sé e non come un’accozzaglia di discipline, che pretendono tutte di avere il primato nella soluzione del crimine. E’ proprio questo modo di porsi davanti ad una vicenda delittuosa che impedisce alla Criminologia di avere un ruolo di scienza strettamente antropologica e fenomenologicamente eidetica, che sono gli elementi fondamentali se si vuole raggiungere la comprensione dell’essenza dell’accaduto. Le varie discipline, come la psicologia, la sociologia, la criminalistica e l’investigazione devono porsi come supporto e verifica di una intuizione centrale che può e deve avere solo il Criminologo. Per questo è necessario che i Criminologi inizino un percorso di rifondazione della Criminologia su basi intrinseche alla stessa disciplina, quindi esperiti proprio nella sua struttura specifica, senza andare alla ricerca di elementi di rafforzamento esterno, che servono solo a testimoniare la sua fragilità interna e la sua mancata fiducia nella  definizione di scienza e di disciplina sufficiente, e quindi di iniziare a pensare alla costituzione di un ordine o di una qualsiasi altra forma associativa che rivendichi l’importanza del proprio ruolo nella gestione del sopralluogo e dei conseguenti rapporti col Diritto Penale. Questa scelta ha un valore ancora più rilevante se si parte dal presupposto che il reato, sia che venga esercitato nei confronti della persona fisica, sia che lo si eserciti contro il suo patrimonio, è pur sempre da considerare un atto che slatentizza una devianza della mente. Vorrei ricordare che alcune strutture anatomiche, insite nel cervello rettiliano e paleomammaliano, come per esempio, l’ipotalamo e l’amigdala, sono da considerare, rispetto al neocortex, strutture in cui risiede una memoria, un vero archivio, e gli istinti di rabbia e di aggressività che potrebbero essere alla base di atti inconsulti dell’uomo, dove la neocorteccia non riesca a porre un controllo tempestivo, con i suoi mediatori chimici. Futuri studi di neurobiologia e di neurochimica, coadiuvati dalla neuroradiologia, potrebbero aprire spazi per una visione più chiara sui significati psicopatologici e sui valori del cervello e della mente.  Comunque, per rispettare il percorso seguito dagli studiosi di questa materia, cioè la Criminologia, negli anni della sua nascita e della sua formazione, cioè da Cesare Beccarla, quindi dal XVIII° secolo fino ai nostri giorni, dobbiamo fare un accenno storico sul significato del ruolo, come figura professionale, dei criminologi, per passare poi a trattare, seppure brevemente, i metodi della Criminologia, passando poi all’elencazione e alla definizione delle Teorie Criminologiche riconosciute. Fatto questo, mi avventurerò nell’esposizione di una mia personale visione su come dovrebbe porsi, oggi, la Criminologia, per essere riconosciuta come scienza e quindi come disciplina che esprima una sua dignità ed unità professionale, utile per la soluzione dei casi che le si presentano, per sostenere il Diritto nei suoi compiti penalistici e soprattutto per dare un contributo alla prevenzione del crimine; altro suo compito è quello di formare i suoi tecnici e di conseguire finalità di ricerca e di applicazione di moderne teorie di pensiero, sia sul piano psicologico e sociologico, sia su quello più dichiaratamente filosofico. Dico questo perché sono convinto che non si può raggiungere un livello di coesistenza pacifica e civile tra gli uomini se non si riesce a trovare una teoria che accomuni gli esseri viventi tra di loro e tutti loro col nostro pianeta terra. La Criminologia Attuale, deve saper superare l’eccesso di penetrazione, spesso invasiva, fino a diventare strumento di criminalità, della tecnologia, specie quella informatica, dando un senso di umana utilità a queste cose, che altrimenti sfuggono all’uomo ed entrano nel terreno della devianza e della criminalità. La Criminologia non si allontana dalle domande che la stessa Filosofia si pone quando cerca di capire il senso della vita sullo scenario del mondo. In fondo, se noi riuscissimo a capire il perché ognuno di noi precipita inaspettatamente sul nostro pianeta e, poi, altrettanto inaspettatamente si diparte dal vivere quotidiano e dagli affetti, probabilmente capiremmo anche quale dovrebbe essere, e spesso non è, la nostra presenza terrena. Sapremmo quale è il nostro ruolo e ci renderemmo conto che vivere, nella natura, vuol dire procreare per conservare e migliorare la specie. Sotto questo profilo, la Criminologia diventa la scienza del mancato principio di conservazione della vita. Esiste perché esiste la cultura del rifiuto della vita in senso ontologico, per un principio paradossale di sopravvivenza aggressiva, che annulla ogni valore assoluto. La Criminologia, quindi, è una scienza che si pone il problema generale della vita, sia nell’atto della sua distruzione operato dall’uomo stesso, cercando così di capire la causa ed il fine di questa scelta distruttiva della vita, sia nell’atto di voler affermare la sacralità e la conservazione della vita. In tal senso la Criminologia non è solo una scienza a fini penalistici, ma anche e soprattutto una scienza medica, che studia e cerca di prevenire o impedire le cause del danno psicofisico o della morte.
Cerchiamo intanto di capire cosa significa essere criminologi oggi: alla luce di quanto già detto, è evidente che chi si occupa di criminologia ed ambisce a questo titolo, deve essere nelle condizioni di avere una chiara consapevolezza del proprio ruolo sia nei termini di specifica attività che guarda alla criminogenesi e alla criminodinamica, quindi quale scienza che si distingue in senso operativo nel tribunale, nelle carceri, nelle indagini giudiziarie o di parte e  così via; sia nell’ambito di una formazione culturale e di studio, nonché nell’insegnamento e ne campo della ricerca scientifica, con le dovute pubblicazioni e la formazione di una scuola di criminologia. Deve essere nelle condizioni di analizzare e comprendere il comportamento dei soggetti che commettono atti criminosi, servendosi di tutti gli strumenti scientifici esistenti e di tutte le teorie disponibili, che mettono alla luce le condizioni psicologiche, sociali, economiche, culturali e politiche , che stanno alla base di tali comportamenti, comprese le leggi (perciò il Diritto Penale e le Carceri), le regole e i costumi di convivenza, le religioni, le problematiche individuali e formative, il lavoro, la scuola e la famiglia. Dovrà capire l’evoluzione di una criminalizzazione primaria e secondaria. In tutto questo sarà fondamentale la conoscenza della filosofia e del pensiero attuali. Infine deve essere capace di interloquire con le leggi penali, in maniera positiva e critica, per migliorare la loro applicazione e indirizzarle verso la prevenzione. Deve collaborare nello studio e nel processo di miglioramento degli istituti di detenzione, degli OPG, tendendo sempre a cambiamenti nel rispetto della democrazia e dei più elevati sentimenti umani.
Abbiamo detto che la Criminologia è una scienza eclettica, ancora poco unitaria e ciò comporta spesso una lungaggine nelle indagini ed una imprecisione nei risultati, perché c’è un tentativo di far prevalere un punto di vista sugli altri, impedendo così una visione unitaria del problema, cosa che invece dovrebbe essere il dato fondamentale, se si vuole dare alla criminologia un preciso valore scientifico. Vedremo, in seguito, se questo è possibile.
Nella sua pratica applicazione, la Criminologia si avvale di diverse tecniche d’indagine, che cercherò di presentare, seppure sinteticamente, al fine di offrire un’idea del metodo di procedere nel suo lavoro. E’ suo compito, coadiuvata dalla psichiatria forense e soprattutto da una profonda conoscenza della psicopatologia, studiare e ben definire i casi clinici che le vengono affidati; circoscrivere la personalità del criminale e conoscere, nei particolari, la sua anamnesi, cercando di sapere, in forma eidetica, senza farsi influenzare dalla fenomenicità dell’accaduto o dalle facili interpretazioni, che spesso sono condizionate dalla metodologia scolastica e dalla presunzione professionale; analizzare l’individuo tenendo conto delle sue origini, dell’anamnesi patologica remota, di quella recente e soprattutto delle patologie nervose e mentali, nonché della storia affettiva e sociale della sua famiglia. Dove servono, deve poi avvalersi dei sondaggi campionari, raccolti durante il sopralluogo, nella scena del crimine, evitando al massimo ogni forma di inquinamento delle prove: per esempio cercare sostanze organiche, come saliva urina, impronte di ogni tipo, fibre organiche o inorganiche, armi o tracce di esplosivi, cicche di sigarette, scritte ecc. sulle quali poi compiere le dovute ricerche. Altra metodologia di cui avvalersi è la ricerca di dati di significato ambientale e sociale riferibili al soggetto; analisi di statistiche ufficiali collettive alle quali comparare il caso in esame, per trovare analogie o spiegazioni razionali o simboliche già trovate in casi precedenti; quindi analisi di fonti d’informazione, di consultazione di documenti di ufficio o di trattati precedenti o di documenti storici che possono facilitare la ricerca, che, in alcuni casi, può essere anche sperimentale. Vengo anche eseguite le indagini settoriali e gli studi predittivi riferiti a specifici settori della criminalità, usando i metodi statistici. In Italia tutti i dati importanti sono raccolti, elaborati e poi pubblicati dall’ISTAT, mediante i quali si possono stabilire i tassi riguardanti i diversi reati. Si definisce tasso di reato il numero di casi, riguardanti quel reato specifico in un anno e su una popolazione di centomila abitanti. Per esempio, se diciamo che il tasso degli omicidi di una popolazione è del 5 per centomila abitanti, vuol dire che in un anno si sono verificati cinque omicidi in quella popolazione. I dati che la stampa offre, quando si verificano reati gravi, sono utili per capire meglio il reato secondo le sue caratteristiche, in quanto offre elementi di cronaca, di sociologia e di costumi culturali e storici. Quando in un paese vengono fatte indagini per capire quante persone di questo paese sono state vittime di reati, si dice che viene compita una indagine di vittimizzazione. Dalla differenza che intercorre tra i casi denunciati e quelli realmente accaduti ci danno quel dato che viene definito numero oscuro, cioè quel numero di reati realmente avvenuti, ma non denunciati ufficialmente. Questo avviene, per esempio, nel Mobbing, nello stalking, nel bullismo, nelle violenze sessuali ecc.
Tratterò, adesso, sempre in maniera sintetica, le tre più importanti teorie criminologiche storiche, prima di avventurarmi nella mia personale visione della materia, che si vuole porre il problema di una Criminologia unitaria come Scienza. 1) - La teoria biologica: Il primo ad incamminarsi su una visione biologica della criminologia è stato Cesare Lombroso, che opinò il concetto di criminale nato, il quale ereditava geneticamente i suoi comportamenti delinquenziali in forma atavica, cioè provenienti dalle origini aggressive e conservative dell’homo erectus primordiale. Fino a pochi decenni fa la teoria biologica si faceva forte, in criminologia, con la teoria del cromosoma Y soprannumerario. Noi sappiamo che il patrimonio genetico dell’uomo consta di ventidue coppie di cromosomi somatici e di un’ultima coppia di cromosomi, detti sessuali, che determina il sesso: XX per la femmina e XY per il maschio; quindi è il cromosoma Y che determina l’acquisizione del sesso maschile. Studi fatti in passato, nelle carceri e negli ospedali psichiatrici hanno potuto evidenziare una presenza elevata, nei soggetti ospitati in questi ambienti, della così detta trisomia, cioè la presenza di un cromosoma Y aggiuntivo, perciò non XY, che normalmente determina la sessualità maschile, ma XYY. Si era visto, in particolar modo, che a presentare l’anomalia trisomiale erano i soggetti particolarmente violenti e quindi si era pensato che tale anomalia potesse essere la causa dei comportamenti criminali. Ma, a quei tempi, purtroppo, gli studi per la ricerca erano metodologicamente superficiali e non veniva fatta l’indagine su una popolazione di controllo presa tra i non internati, per cui i risultati erano poco attendibili.
La teoria Psicologica: Data la proliferazione degli studi psicologici, particolarmente dal XIX° secolo fino ai nostri giorni, farò riferimento alle più significative di queste teorie, in relazione al fenomeno criminogenetico e criminodinamico. La Psicoanalisi di Freud, nella strutturazione dinamica dell’Io aveva individuato alcuni spazi fondamentali, che si ponevano alla base di una possibile stabilità della ragione nel rapporto con gli altri e con la realtà, senza prescindere da una partecipazione filogenetica ed ontogenetica. L’Es, l’Io, il Super-Io, l’Inconscio e il Rimosso, rientravano per Freud nel gioco dei rapporti tra l’Io e gli Altri e tra l’Io e il Mondo esterno. In  questo gioco di traslazioni e di accadimenti esistenziali, alla base dei comportamenti aggressivi, violenti e di stampo criminale, veniva individuato il significato frustrante del senso di colpa, sotto il controllo del Super-Io, visto come il “poliziotto interno”. Ma la Psicoanalisi freudiana era più propensa alla ricostruzione della pace della coscienza che alla conoscenza profonda della distruttività della coscienza nel mondo, in quanto Freud, circoscrivendo l’esistenza dell’uomo tra eros e thanatos, si fermava ad una visione statica e metodologica, come ogni altra teoria psicologica, della realtà. Tutto si giustificava nell’istinto di conservazione. E’ chiaro che il suo pensiero, adeguato ai suoi tempi, che risentivano dell’influenza del pensiero positivista europeo, si affacciò alla conoscenza dell’epoca con tutto il suo fascino e con una grande capacità di suggestione, che ponevano le scienze in uno stato di dubbio epistemologico, come già era iniziato con la critica alle scienze posta da Husserl e dalla Fenomenologia, nel libro famoso dal titolo: “Crisi delle Scienze Europee e Fenomenologia Trascendentale”.  In ogni caso, nelle diverse teorie psicologiche, furono individuate motivazioni interessanti di devianza del comportamento, sia nel senso psichiatrico, sia nel senso criminologico. Giova ricordarne alcune di queste motivazioni: Interessante la teoria così detta “della deprivazione affettiva di Bowlby, che si basava sulla constatazione, improntata sulla conoscenza della psicoanalisi freudiana, sulla constatazione che, in circostanze in cui precocemente si viene a verificare una deprivazione traslativa ed affettiva, si possono verificare disturbi comportamentali duraturi. Bowlby, nel suo libro, pubblicato nel 1872, “Attaccamento e perdita. La separazione dalla madre”, sviluppa e avvicina di più alla biologia il rapporto madre bambino posto da Freud nella sua teoria psicoanalitica: egli però, come dicevo prima,  valorizza l’importanza dinamica di questo rapporto, alla luce dei suoi studi della teoria darwiniana sulla conservazione degli istinti vantaggiosi, come pure, della teoria biologica ed etologica di Lorenz. Alle stesse conclusioni arrivavano gli psicologi comportamentismi, come Dollard e Miller, con le loro teorie, basate sul concetto di “condizionamento”. Dollard e Miller, nella loro teoria della frustrazione-aggressione, hanno provato, mediante studi sperimentali, che se un soggetto viene  impedito nel raggiungimento di un interesse o di un obiettivo, in cui crede profondamente, a causa del sentimento di frustrazione provato, il soggetto reagisce con comportamenti aggressivi, rivolti direttamente sulla causa della sua frustrazione o indirettamente su altri soggetti e obiettivi più accessibili. Il concetto fondamentale di questa teoria è che, alla base di alcuni atti violenti e di molti comportamenti criminali ci siano una serie di frustrazioni, che sviluppano aggressività nel soggetto vittima di tali frustrazioni. Si verificano comportamenti rivendicativi, di significato compensativo, che talvolta raggiungono espressioni comportamentali devianti.
Accenniamo adesso alle teorie sociologiche: le teorie sociologiche partono dal presupposto che la criminogenesi si verifica e si sviluppa all’interno di ambienti o situazioni esistenziali criminogeni; sono queste le teorie ecologiche della criminalità. Tra queste citiamo la teoria di Edwin Sutherland, detta delle identificazioni o associazioni differenziali. L’autore, nel suo testo “Criminologia”, pubblicato nel 1924, poneva le basi di una teoria sociologica della criminalità, fondata sulla constatazione che i criminali sono soggetti che si associano e si formano nel contatto con soggetti criminali, in ambienti disposti al crimine, e non con coloro che non commettono reati, verso i quali non manifestano interessi. Un accenno alla teoria dell’anomia, cioè mancanza di norme, sia sociali, sia morali, con la quale si evidenzia una sorta di parallelismo tra questo fenomeno di anomia riguardante una società e la frequenza di reati che  si verificano in quella stessa società. Il termine anomia fu usato in criminologia, per la prima volta, da Durkheim, nei suoi studi sul suicidio, dando a questo concetto una interpretazione di dissonanza cognitiva tra le aspettative garantite dalle leggi e la realtà in cui si vive. Più frequentemente, anche se con scarsa durata, sono venute fuori teorie basate sulla conflittualità culturale. Secondo tali teorie, molte volte, i comportamenti criminosi si sviluppano in ambienti di sottoculture criminali, che trasmettono ai loro membri alcuni valori criminosi strutturati in esse, quanto nella cultura della società che le sorregge e le diffonde. Potremmo fare un esempio, ricordando l’Islam e alcuni gruppi islamici che interpretano i valori dell’Islam in maniera soggettiva, aggressiva e distruttiva; non è però il solo esempio: altre religioni, nel passato come nel presente, hanno male interpretato i valori religiosi, precipitando in comportamenti violenti e criminosi. Così pure le ideologie, che quasi mai tengono conto dell’uguaglianza umana e della conservazione della specie, lasciandosi andare ad atti di sopraffazione e di violenza. Le teorie sociologiche di criminogenesi hanno spesso posto il problema dell’importanza dell’ambiente nella formazione di comportamenti delinquenziali e hanno evidenziato, in questo fenomeno, l’importanza negativa della stigmatizzazione e di una conseguente formazione di personalità criminale, prodotta dalla realtà emarginante dell’ambiente criminogenetico di base, che si distingue per un consolidamento di un progetto deviante di vita. Questo vuol significare che, spesso, è proprio l’atteggiamento di rifiuto e di emarginazione che un contesto sociale adotta nei confronti di alcuni soggetti o di alcuni gruppi, che spinge tali soggetti e tali gruppi verso risposte devianti e criminali.  Altra teoria è la così detta teoria dell’etichettatura (labelling, come dicono gli autori inglesi) o della marcatura (come dicono gli autori francesi), entrambe comunque metto in evidenza un concetto di emarginazione e di stigmatizzazione negative che rafforzano la devianza. Questo fenomeno è molto importante, per i danni che ne possono conseguire, quando si rivolge contro i comportamenti, seppure errati, dei minori (per esempio i bulli) e verso la criminalità minorile, dimenticando che l’approccio più positivo, nel senso di un possibile recupero culturale e sociale, è quello che si fonda sul tentativo di evitare nei minori l’esperienza carceraria, con la conseguente loro esclusione dalle normali relazioni umane e sociali, che sono alla base di un reale reinserimento sociale e produttivo, evitando così costi rilevanti che pesano sull’economia di tutti i cittadini.
Resta, infine, da fare qualche accenno alla Criminologia Clinica.
Prende il nome di Criminologia Clinica quella scuola di criminologia, la più recente nel tempo, che si muove, nei suoi interventi di analisi e di raggiungimento di un risultato d’indagine, come si muove classicamente la medicina di fronte ad una patologia: diagnosi, prognosi ed eventuale terapia, dove il recupero del soggetto che ha commesso il reato sia possibile mediante un trattamento terapeutico e detentivo, nella forma ottimale. La diagnosi è dunque è dunque una sorta di strategia complessiva che, attraverso una serie di elementi indagatori, che non trascurino l’anamnesi, cioè quei fattori che abbiano potuto contribuire, se non determinare, la genesi prima e poi l’esecuzione del reato: quindi i fattori e gli elementi soggettivi ed oggettivi che hanno causato la criminogenesi ed hanno contribuito allo sviluppo della criminodinamica. La prognosi si occupa più specificamente del soggetto criminale, cercando di raggiungere la più completa conoscenza della sua struttura mentale e comportamentale e di stabilire il nesso di pericolosità e di persistenza criminogenetica nei confronti della micro e della macro società. Infine la terapia, vale a dire stabilire un complesso di interventi di rieducazione, di cure psicologiche, di lavoro, di ambienti utili a cui affidare il delinquente al fine di un possibile recupero sociale, sia nel senso morale, di convivenza collettiva, sia di reinserimento nelle dinamiche socio-affettive e produttive, evitando così ruoli passivi, che pesano sull’economia generale del paese. Ovviamente questa terminologia non ha lo stesso significato che aveva ai tempi di Lombroso, il quale dava a queste definizioni un significato e un valore specificamente antropologico-medico. Adesso si da a tale terminologia che caratterizza la Criminologia Clinica un significato metodologico, utile per raggiungere i precisi obiettivi di sapere con chi e con che cosa si ha a che fare per poi capire meglio le dinamiche psicologiche, esistenziali, affettive, ambientali e socio-economiche che hanno determinano tali eventi ed hanno spinto il delinquente a farsene carico, pur sapendo delle responsabilità legali e sociali, di detenzione e di recupero, a cui andava incontro, commettendo il reato. Tale terminologia, ripeto, ha, per criminologia moderna, un significato strettamente metodologico, senza pretendere una sua valenza specificamente medica. Forse un maggiore impegno di attenzione si richiede quando si deve fare quella che abbiamo chiamato prognosi, cioè l’analisi approfondita del soggetto che delinque e dell’ambiente in cui il soggetto nasce, cresce e si costruisce una sua specifica personalità, mediante le esperienze vissute e attraverso le sue relazioni umane, dentro e fuori dalla famiglia. Tale attenzione è fondamentale per poter stabilire il così detto livello di pericolosità sociale, che il diritto, oggi, pone al centro del giudizio nello stabilire le regole di trattamento generale e di interventi specifici riferiti a soggetti che hanno commesso reati. Ci sono e ci sono stati modelli di previsione di recupero sociale di un soggetto e di valutazione del suo livello di pericolosità. In passato ha avuto fortuna il metodo sviluppato dai coniugi Glueck, mediante il quale intendevano stabilire il livello di invischiamento di un soggetto in una, così detta, “carriera criminale”. I coniugi Glueck posero tre variabili fondamentali, mediante le quali si poteva stabilire, in forma revisionale, il futuro comportamento del soggetto, nel significato criminogenetico. Le prime variabili sviluppavano il rapporto del soggetto con la famiglia di origine: ambiente famigliare, con tutte le sue tensioni interne o indotte; il comportamento dei genitori, più o meno comunicativi, con i conflitti interpersonali  e con le loro frustrazioni; la presenza di valori e la costituzione di eventuali controvalori, nati da problematiche psicologiche, morali, economiche, di carenze culturali ecc. Le seconde variabili erano indirizzate allo studio della personalità del soggetto, osservato nella sua complessiva formazione, cioè il bagaglio psicologico che determinava una sua eventuali instabilità comportamentale ed emotiva; la capacità dimostrata dal soggetto nel saper resistere o meno alle frustrazioni del vissuto quotidiano; la valutazione delle dinamiche inconsce del soggetto e quindi il suo livello di impulsività , comprese le sue capacità di autocontrollo e di inibizione delle pulsioni. Le terze variabili  erano rappresentate dalla consistenza e dalla valutazione dei reali comportamenti del soggetto e quindi dalle specifiche azioni illegali commesse nell’arco della sua formazione, compresa la fase antecedente alla precisa criminalizzazione del suo comportamento. Quindi stabilire la precocità del comportamento deviante (per esempio un bambino che commette reati in tenera età, perché magari influenzato negativamente dall’ambiente, più facilmente può adottare ed aggravare, nel tempo, i suoi comportamenti devianti.); la tendenza o meno di recidivare i reati o i comportamenti sbagliati; la tendenza all’utilizzo precoce di sostanze alcoliche o del fumo (anche in questo caso è importante capire il tipo di influenza che può esercitare su di lui la famiglia o l’ambiente in cui vive, comprese le violenze subite, specie negli ambienti famigliari promiscui); l’uso, più o meno precoce o anche in età adulta di sostanze psicotrope o psicoattive, ecc.
Detto questo, resta da affrontare il discorso della possibilità di realizzare il raggiungimento di un concetto nuovo, più pratico, di Criminologia, intesa come scienza unitaria, alla quale si possono doverosamente affiancare, come utile supporto di verifica, altre discipline come l’antropologia, in particolare la scuola di antropologia culturale, la psicologia clinica e comportamentale, la sociologia, in particolare quella parte della sociologia che studia la devianza, il diritto, particolarmente il diritto penale, che si occupa della valutazione del danno commesso dal soggetto e stabilisce la pena da fargli scontare, valutando poi, con l’aiuto della psichiatria, il livello di pericolosità sociale, la criminalistica, la psicopatologia, la biologia, specie per la valutazione del DNA, nuova impronta sulla scena del crimine, le scienze investigative, la psicologia evolutiva, la psichiatria clinica e forense, la medicina legale ed infine la filosofia, specie la filosofia delle scienze e quella parte del pensiero che cerca l’essenza delle cose, cioè la fenomenologia di tipo husserliano.
Comunque giova chiarire che questo non vuol dire fare uscire la confusione scientifica dalla porta della Criminologia come Scienza, per farla rientrare dalla finestra. No, perché sarà compito della Criminologia, che trova una sua concreta forma di unità d’indagine nell’intuizione globale sulla scena del crimine, a chiedere gli eventuali supporti tecnici suggeriti dalla situazione alle diverse discipline, che rimangono in se stesse, senza rivendicare ruoli scolastici, oltre quelli naturali.
Gli elementi fondamentali che la Criminologia come Scienza deve considerare nel momento in cui viene commesso un crimine sono tre: il criminale, il tipo di reato, cioè il crimine ed infine il terzo elemento, che, per una possibile comprensione criminogenetica e criminodinamica, è fondamentale perché consente una visione unitaria dell’evento, unendo insieme la personalità psicologica e socio-culturale del delinquente ed il crimine in sé, quale azione direttamente scelta dal criminale, consciamente o inconsciamente, direttamente o indirettamente, cioè il movente. Solo procedendo in questa direzione la Criminologia può rivendicare un suo ruolo di scienza esatta ed unitaria, il cui compito è quello di capire i reati, non scindendoli mai dai rei, mediante l’intuizione prima e la ricostruzione poi di quanto è accaduto.  Il movente è un elemento importante nell’analisi del crimine e nella rappresentazione antropogenetica e socio-culturale del criminale. Senza cadere negli schematismi classici delle diverse teorie criminalistiche o criminogenetiche, che solitamente si sostengono sul dato stesso della loro appartenenza ad una o ad un’altra teoria, allontanandosi così dalla verità, che già, in un evento delittuoso, è difficile individuare e definire, possiamo porre alcuni punti fermi che si definiscono da soli, per la loro intrinseca natura, che nulla ha a che fare col nostro giudizio culturale; anzi il compito che ci dobbiamo porre, ogni qualvolta siamo chiamati per cercare una possibile verità sull’accaduto, è quello di saper mettere in parentesi ogni giudizio e di guardare, con occhi trasparenti e privi di immagini o impressioni preconcette, la scena del crimine. Alcuni elementi spontanei della criminogenesi semplificano la conseguente indagine scientifica che si avvarrà poi delle diverse tecnologie e del supporto di altre discipline richieste. Una prima distinzione è quella che nasce dall’impressione che si prova, durante il sopralluogo, se il movente appare facilmente raggiungibile o se invece appare irraggiungibile ed assurdo. Nel primo caso sappiamo di trovarci, facilmente, davanti ad un soggetto criminale lucido e determinato; nel secondo caso, invece, facilmente, potrebbe trattarsi di persona portatrice di disturbo mentale. Altra naturale distinzione è quella legata al sesso del criminale: la scelta  dello strumento lesivo e mortale. Sappiamo che l’aggressività è maggiore dove sussiste, nel criminale un abbassamento del tasso di serotonina o un amento del testosterone. Perciò è diverso un omicidio commesso da un maschio da quello commesso da una donna. Cambia la violenza e la forza d’esecuzione, ma soprattutto il mezzo. I maschi uccidono con armi da fuoco o da taglio, oppure usando le sole mani come corpo contundente o utilizzando oggetti pesanti. La donna, invece, fa uso di veleni o di farmaci, nell’ 80% dei casi; nel 20% dei casi fa uso di armi da fuoco. Il movente del maschio e la rabbia, la vendetta, la gelosia, l’istinto di conservazione o gli interessi socio-economici. Nella donna l’ 80 % dei moventi sono legati ad interessi economici, specie dopo separazioni o divorzi; nel 20 % dei casi il movente è legato ad un bisogno profondo di rivendicare sulla vittima una sua supremazia. In alcuni casi non agisce da sola. E’ solo sul movente che si può stabilire un principio di analisi criminologica, che non sia viziata da diversi punti di vista pluridisciplinari, talvolta in conflitto tra di loro, come abbiamo verificato, per fare un esempio, nel caso di Cogne e in moltissimi altri casi, rimasti insoluti proprio a causa di una mancata coerenza e unità d’indagine: possiamo perciò affermare, come inizio unificante di un percorso che renda scientifico il ruolo della Criminologia, che il criminologo ha il compito di personificare l’unità e la verità della scienza criminologica, dirigendo, in prima persona,  tutti i movimenti della scena del crimine, cioè del sopralluogo, a partire dalla sua più attendibile intuizione su un movente, da cui si possa poi arrivare alla configurazione della personalità del criminale. Considerando la Criminologia nella sua essenza, vale a dire nel significato eidetico, che si dimostra per ciò che è, nella materia stessa di cui si occupa, cioè il crimine e, di conseguenza l’autore di questo crimine, e non nelle tecniche multidisciplinari di indagine, arriviamo alla conclusione che l’unica maniera possibile che le scienze ci offrono per una soluzione del caso, su cui la Criminologia e il criminologo indagano, è la considerazione fenomenologia del sapere scientifico e del suo procedere, pertanto anche della Criminologia come scienza. Ciò vuol dire, per esempio, che sul luogo del crimine, non serve entrare con un bagaglio di supposizioni e di preconcetti, che allontanano ogni possibilità di approccio con l’accaduto reale, ma serve invece porsi col massimo della razionalità possibile, mettendo tutti i giudizi in parentesi, facendo cioè una epoche, ponendoci, il più possibile, in un rapporto naturale e perciò privo di emozioni e di immaginazioni, in contatto con l’essenza di quella realtà. Un omicidio ha come prima essenza il fatto che viene negata ad una persona, prima vivente, il suo stato di esistenza. Segue poi, sempre sul piano dell’essenza, che c’è stato qualcuno che ha annullato tale esistenza: questo qualcuno, per legge naturale, può essere lo stesso soggetto che si è voluto privare della sua  esistenza (e in tal caso parliamo di omicidio-suicidio) o una persona diversa (in tal caso parliamo di omicidio puro, che a sua volta si può distinguere in omicidio cosciente o incosciente, il primo con un preciso movente, il secondo senza una movente specifico, frutto dell’irrazionalità). L’omicidio o il crimine, in quanto tali, possono sussistere al di fuori delle categorie immediate, cioè spazio e tempo, potendosi verificare in qualunque luogo ed in ogni attimo del tempo vissuto. La specificità di un accadimento criminoso perciò ha un senso e un valore eidetico proprio nella sua specificità fisica, che lo rende particolare all’interno di una sua universalità che comunque lo conferma: questa è la maniera trascendentale di procedere nella conoscenza di qualsiasi accadimento delle diverse scienze. Diversamente si cade in un intrigo di psicologismo, cioè di dati psicologici, che si scontrano con le particolari e molteplici visioni della realtà, la quale, per questo, diventa derealizzata. Il criminologo sa che un omicidio, pur rappresentando un atto di negazione della vita dell’uomo, è un accidente specifico che si nutre dell’universalità del suo genere, ma si chiarisce solo attraverso la sua specificità fisica e naturale. Perciò il suo procedere è un andare verso la verità dell’accaduto, senza sapere che quella è la verità, pur considerandola tale nel suo significato di atto irriducibile, quindi assoluto, cioè di perdita irreversibile della vita. Su questa strada ogni aspetto fenomenologico, di metodo e di approccio psicologico e disciplinare, rappresenta una complicazione per la possibilità di esperire la verità, se prima non si avvale dell’intuizione univoca del criminologo, che deve cercare la verità senza farsi ingannare dai possibili giudizi suoi o degli altri o dalle molteplici esperienze, che potrebbero coprire la singolarità del crimine. Dobbiamo saper fare conciliare l’immediato con il mediato. Una scienza eidetica si fonda sulla sua capacità di porsi nella sua immediatezza, cioè nella sua essenza, e di seguire procedimenti esclusivamente eidetici, cioè procedimenti che, sin dall’inizio, non si fanno violentare e falsificare da rapporti con cose o leggi che li inquinano, non avendo un valore eidetico, cioè di rapporto immediato con la realtà e con la ragione. Ma come proiettare questo bisogno di essenzialità e di concreto accostamento alla verità, senza farsi ingannare da emozioni o pregiudizi, sulla scena del crimine? Il Criminologo deve osservare, col massimo della capacità unitaria, la complessità percettiva delle singole cose che si presentano nel sopralluogo, tenendo presente che la percezione mediata, cioè dipendente da una molteplicità di singole cose e da una presupposta conoscenza ed esperienza, si deve sempre fondare su principi immediati. L’immediatezza presuppone una sua precedenza rispetto alle singole cose, che possono distogliere l’attenzione dalla stessa verità. Ma che vuol dire, nel caso della scienza criminologica, immediatezza? Vuol dire saper mettere in parentesi ogni giudizio e porsi immediatamente nella condizione della vittima, tenendo conto dell’oggettività e della massima logicità della situazione, nella maggiore attinenza specifica del criminale situazionale e cercando di dare un valore matematico, perciò di scienza esatta, al movente. Prendere poi coscienza di questa essenzializzazione del caso, vuol dire cercare di evitare, con ogni mezzo, la psicologizzazione dell’essenza. E’ questo un lungo percorso da approfondire nel tempo, con un’accurata ricerca, se vogliamo dare alla Criminologia un valore di scienza ed evitare che, in un sopralluogo, tutto si riduca ad una raccolta di dati di mestieri e di conoscenze multidisciplinari, spesso in conflitto tra di loro e, comunque, lontani dalla verità dei fatti.     

 Prof. Antonio Vento

08-11-10
 

 

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