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IDEA
PER UNA CRIMINOLOGIA COME SCIENZA
La Criminologia è la scienza che si
occupa dell’analisi dei reati perseguibili penalmente, dei soggetti che
compiono tali reati, della scena del crimine o sopralluogo, della
ricostruzione della dinamica con cui il crimine viene consumato, quindi
il modo come viene eseguito, gli strumenti adoperati per compiere l’atto
criminoso ed infine il movente. Fin dal suo inizio, cioè dal settecento,
che la vede nascere istituzionalmente dall’interessante opera di Cesare
Beccaria, “Dei delitti e delle pene”, la Criminologia è stata sempre una
scienza multidisciplinare, alla ricerca di una sua precisa identità. La
scuola di Beccaria, che si imposta sui principi liberistici del diritto
penale, prende il nome di cosiddetta Scuola Classica. L’autore aveva
capito che non è la gravità della pena, né la tortura a dissuadere il
criminale a compiere reati; si rende anzi conto che uno stato, che egli
definisce forte, solo per l’applicazione di leggi pesanti, ma che forte
non è perché la forza di uno stato, come di qualsiasi altro ente
sociale, poggia sempre sulla sua capacità di sviluppare elementi
positivi e conservativi per la specie. Quindi non è mai l’applicazione
pesante delle leggi che garantisce la giustizia, bensì la prevenzione
che si avvale sempre di una considerazione umana del soggetto che
commette il reato, con la sua personalità specifica, le sue debolezze e
le sue strutture anatomiche e funzionali. La verità, dice Beccaria, è
che le leggi, almeno nel XVIII secolo, erano leggi che garantivano la
società e il potere e che non si ponevano certo il problema della
responsabilità legale e morale del soggetto indiziato, che veniva
sottoposto a torture e giustiziato con la pena di morte, mediante
confessioni estorte con la violenza: questo, a sua volta, comportava una
disaffezioni alle leggi, che spesso premiavano il colpevole e punivano
l’innocente, causando una grave ed errata valutazione del soggetto
indagato e del reato stesso. Il secolo seguente, cioè l’Ottocento,
assiste al fiorire della Scuola Positiva, che pone contemporaneamente
l’attenzione sull’uomo che commette il reato, analizzando la sua
struttura medico-biologica, mediante l’antropologia criminale, e
sull’ambiente in cui il reato nasce e si sviluppa, in varie forme
differenziate, che nascono in funzione di vari fattori sociali, come
l’appartenenza a un ceto sociale, la cultura, l’economia e la religione.
Quest’ultimo elemento di riflessione ha acquistato, ai nostri giorni,
col fenomeno dell’immigrazione, maggiore rilevanza. Cesare Lombroso, con
l’approccio medico-biologico, ha dato, nel XIX secolo, un forte impulso
alla Criminologia italiana, rendendola conosciuta e studiata in tutto il
mondo, quale scuola positiva, quando in tutto il resto dell’Europa si
diffondeva la filosofia positivistica, a partire dalle teorie di Augusto
Comte. Cesare Lombroso iniziò i suoi studi antropologici occupandosi dei
pazzi e dei criminali, intravedendo in queste due categorie umane
l’impronta di una sorta di primitivismo che giustificava la loro
“devianza dalla normalità storica”. Concentrò, in un primo momento, la
sua attenzione sullo sviluppo delle ossa craniche, specie di quello
occipitale, individuando alcune anomalie congenite, che avrebbero
influenzato negativamente l’attività del cervelletto e avrebbero
interferito sull’evoluzione embriogenetica del cervello, allo stato di
feto. Quindi si rifaceva alla teoria evoluzionistica, avallata anche da
ricercatori inglesi e dallo stesso Golgi, che indagavano sulla pazzia,
riscontrando una inefficiente capacità cranica nei soggetti autori di
atti criminali. Da questi studi prende quindi corpo la teoria dell’
“uomo delinquente”. I suoi studi, altamente deterministici, avallavano
l’idea che, alla base di tali disturbi, la pazzia e l’atto criminale,
erano entrambi aspetti anomali del comportamento, influenzati
direttamente da una stessa causa patologica, cioè l’epilessia. Nel
tempo, però, si allontanò alquanto da tale teoria e si accostò sempre
più ad un’interpretazione evoluzionista, presentata in “Genio e Follia”.
Si rese conto che gli stessi “pazzi”, talvolta, slatentizzano genialità
e passioni. I suoi studi però, sul piano della correttezza scientifica
della ricerca, presentavano gravi lacune e quindi erano soggetti a
scarsa credibilità, perchè egli non si servì della tecnica di confronto
tra due gruppi, utilizzando una popolazione sana oltre a quella
classificata folle o criminale e quindi lasciò il dubbio della casualità
delle anomalie organiche riscontrate, che perdevano così il valore della
causalità, da lui attribuito. Perciò, se i suoi studi hanno avuto
un’importanza fondamentale nello sviluppo dell’analisi criminologia, non
hanno individuato bene gli elementi necessari per fare della
Criminologia una vera scienza. Queste premesse hanno lasciato la
soluzione dei crimini nella spontaneità del caso, che talvolta ingenera
conclusioni errate o, come succede ai nostri giorni, vedi Cogne,
Garlasco o via Poma, il mancato esito investigativo. La così detta
Criminologia Moderna, cioè quella dei nostri giorni, si presenta come
scienza multidisciplinare, proprio perché, mancando un supporto unitario
di base, apre a tutti gli studi che fanno riferimento al comportamento e
alla devianza, che si arrogano il diritto di dare una risposta
investigativa a partire da se stessi. Diventa perciò più una questione
di metodo che un procedimento scientifico. Ci rendiamo conto che oggi
il compito primario che la Criminologia si pone, mettendo un po’ da
parte le aspirazioni ad un riconoscimento scientifico, al di sopra degli
stessi eventi che costituiscono la fenomenologia dei principali delitti,
come l’omicidio, la violenza sessuale, l’uso e il commercio di sostanze
stupefacenti, i gravi reati economici e finanziari nell’ambito della
burocrazia, la delinquenza organizzata e quella comune, il terrorismo e
così via, è quello della così detta “Nuova Difesa Sociale”. Non si
guarda più ad una causa criminologica unica ed universale, non
trovandoci più in una realtà sociale ben classificabile ed individuabile
– basta pensare ai grandi mescolamenti culturali e antropologici,
conseguenti alle numerose emigrazioni intercontinentali - ma proprio per
tale ragione spesso si perde di vista il significato scientifico delle
disciplini, che hanno bisogno di un fondamento unitario per essere
riconosciute tali, accontentandosi di risposte funzionali ad una sorta
di sociologia positiva, che sappia creare le adeguate situazioni per un
diffuso senso di Sicurezza Sociale. Quindi si cade, molto spesso, in
situazioni di carattere puramente repressivo, trascurando il vero valore
che una scienza umanistica deve saper garantire, cioè la prevenzione e
il riconoscimento della centralità dell’uomo. E’ ovvio che per una
politica di prevenzione rispetto al crimine (come già nel settecento
affermava Cesare Beccaria) vanno individuati percorsi diversi, con
opportuni trattamenti, mirati ad un recupero sociale, come lo studio, il
lavoro, l’affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione
domiciliare ecc., il cui fine non è solo quello di fare scontare la
pena, come elemento di punizione per i reati commessi, quindi solo di
valore penalistico, ma di sottoporre il soggetto che ha commesso un
reato a riflessioni ed a ripensamenti storico-culturali, perciò
antropologici ed etici, necessari per un suo reinserimento sociale. Un
elemento nuovo che noi psichiatri e criminologi, e non solo, ma anche
gli uomini di cultura e le diverse discipline umane, dovrebbero
riconoscere e prendere in seria considerazione è che la devianza, in
assoluto, è sempre frutto di una profonda disarmonia tra l’io, con la
sua complessa interiorità, e la realtà esterna, cioè gli altri, le cose
e il mondo. Quando l’individuo perde il suo sentimento di compattezza
con l’ambiente in cui vive e si rende conto di una sua incontrollabile
fragilità esistenziale e sociale, non trovando più riferimenti utili al
suo senso di sicurezza e di rapporto con gli altri, facilmente perde il
controllo delle sue pulsioni e le scelte che fa sono scelte che esulano
dal mondo della logica e si definiscono per l’istintualità irrazionale
che esprimono. Possiamo perciò affermare che alcuni comportamenti
delittuosi si differenziano da altri comportamenti illogici e talvolta
dissociati, che possiamo, ad esempio, riscontrare nel disagio
psichiatrico, solo perché causano danni tangibili al patrimonio e alla
sicurezza fisica dei cittadini. Nel primo caso interviene la Psichiatria
a tentare di ripristinare un ordine sociale; nel secondo caso è il
Diritto Penale e la condanna per il reato commesso a dare alla società
la certezza di una Difesa Sociale. La Criminologia deve comunque, come
scienza unitaria che si pone il fine di chiarire le dinamiche che hanno
causato un atto delittuoso in un contesto sociale sotto il profilo della
criminogenesi e della criminodinamica, porsi come scienza a sé e non
come un’accozzaglia di discipline, che pretendono tutte di avere il
primato nella soluzione del crimine. E’ proprio questo modo di porsi
davanti ad una vicenda delittuosa che impedisce alla Criminologia di
avere un ruolo di scienza strettamente antropologica e
fenomenologicamente eidetica, che sono gli elementi fondamentali se si
vuole raggiungere la comprensione dell’essenza dell’accaduto. Le varie
discipline, come la psicologia, la sociologia, la criminalistica e
l’investigazione devono porsi come supporto e verifica di una intuizione
centrale che può e deve avere solo il Criminologo. Per questo è
necessario che i Criminologi inizino un percorso di rifondazione della
Criminologia su basi intrinseche alla stessa disciplina, quindi esperiti
proprio nella sua struttura specifica, senza andare alla ricerca di
elementi di rafforzamento esterno, che servono solo a testimoniare la
sua fragilità interna e la sua mancata fiducia nella definizione di
scienza e di disciplina sufficiente, e quindi di iniziare a pensare alla
costituzione di un ordine o di una qualsiasi altra forma associativa che
rivendichi l’importanza del proprio ruolo nella gestione del sopralluogo
e dei conseguenti rapporti col Diritto Penale. Questa scelta ha un
valore ancora più rilevante se si parte dal presupposto che il reato,
sia che venga esercitato nei confronti della persona fisica, sia che lo
si eserciti contro il suo patrimonio, è pur sempre da considerare un
atto che slatentizza una devianza della mente. Vorrei ricordare che
alcune strutture anatomiche, insite nel cervello rettiliano e
paleomammaliano, come per esempio, l’ipotalamo e l’amigdala, sono da
considerare, rispetto al neocortex, strutture in cui risiede una
memoria, un vero archivio, e gli istinti di rabbia e di aggressività che
potrebbero essere alla base di atti inconsulti dell’uomo, dove la
neocorteccia non riesca a porre un controllo tempestivo, con i suoi
mediatori chimici. Futuri studi di neurobiologia e di neurochimica,
coadiuvati dalla neuroradiologia, potrebbero aprire spazi per una
visione più chiara sui significati psicopatologici e sui valori del
cervello e della mente. Comunque, per rispettare il percorso seguito
dagli studiosi di questa materia, cioè la Criminologia, negli anni della
sua nascita e della sua formazione, cioè da Cesare Beccarla, quindi dal
XVIII° secolo fino ai nostri giorni, dobbiamo fare un accenno storico
sul significato del ruolo, come figura professionale, dei criminologi,
per passare poi a trattare, seppure brevemente, i metodi della
Criminologia, passando poi all’elencazione e alla definizione delle
Teorie Criminologiche riconosciute. Fatto questo, mi avventurerò
nell’esposizione di una mia personale visione su come dovrebbe porsi,
oggi, la Criminologia, per essere riconosciuta come scienza e quindi
come disciplina che esprima una sua dignità ed unità professionale,
utile per la soluzione dei casi che le si presentano, per sostenere il
Diritto nei suoi compiti penalistici e soprattutto per dare un
contributo alla prevenzione del crimine; altro suo compito è quello di
formare i suoi tecnici e di conseguire finalità di ricerca e di
applicazione di moderne teorie di pensiero, sia sul piano psicologico e
sociologico, sia su quello più dichiaratamente filosofico. Dico questo
perché sono convinto che non si può raggiungere un livello di
coesistenza pacifica e civile tra gli uomini se non si riesce a trovare
una teoria che accomuni gli esseri viventi tra di loro e tutti loro col
nostro pianeta terra. La Criminologia Attuale, deve saper superare
l’eccesso di penetrazione, spesso invasiva, fino a diventare strumento
di criminalità, della tecnologia, specie quella informatica, dando un
senso di umana utilità a queste cose, che altrimenti sfuggono all’uomo
ed entrano nel terreno della devianza e della criminalità. La
Criminologia non si allontana dalle domande che la stessa Filosofia si
pone quando cerca di capire il senso della vita sullo scenario del
mondo. In fondo, se noi riuscissimo a capire il perché ognuno di noi
precipita inaspettatamente sul nostro pianeta e, poi, altrettanto
inaspettatamente si diparte dal vivere quotidiano e dagli affetti,
probabilmente capiremmo anche quale dovrebbe essere, e spesso non è, la
nostra presenza terrena. Sapremmo quale è il nostro ruolo e ci
renderemmo conto che vivere, nella natura, vuol dire procreare per
conservare e migliorare la specie. Sotto questo profilo, la Criminologia
diventa la scienza del mancato principio di conservazione della vita.
Esiste perché esiste la cultura del rifiuto della vita in senso
ontologico, per un principio paradossale di sopravvivenza aggressiva,
che annulla ogni valore assoluto. La Criminologia, quindi, è una scienza
che si pone il problema generale della vita, sia nell’atto della sua
distruzione operato dall’uomo stesso, cercando così di capire la causa
ed il fine di questa scelta distruttiva della vita, sia nell’atto di
voler affermare la sacralità e la conservazione della vita. In tal senso
la Criminologia non è solo una scienza a fini penalistici, ma anche e
soprattutto una scienza medica, che studia e cerca di prevenire o
impedire le cause del danno psicofisico o della morte.
Cerchiamo intanto di capire cosa significa essere criminologi oggi: alla
luce di quanto già detto, è evidente che chi si occupa di criminologia
ed ambisce a questo titolo, deve essere nelle condizioni di avere una
chiara consapevolezza del proprio ruolo sia nei termini di specifica
attività che guarda alla criminogenesi e alla criminodinamica, quindi
quale scienza che si distingue in senso operativo nel tribunale, nelle
carceri, nelle indagini giudiziarie o di parte e così via; sia
nell’ambito di una formazione culturale e di studio, nonché
nell’insegnamento e ne campo della ricerca scientifica, con le dovute
pubblicazioni e la formazione di una scuola di criminologia. Deve essere
nelle condizioni di analizzare e comprendere il comportamento dei
soggetti che commettono atti criminosi, servendosi di tutti gli
strumenti scientifici esistenti e di tutte le teorie disponibili, che
mettono alla luce le condizioni psicologiche, sociali, economiche,
culturali e politiche , che stanno alla base di tali comportamenti,
comprese le leggi (perciò il Diritto Penale e le Carceri), le regole e i
costumi di convivenza, le religioni, le problematiche individuali e
formative, il lavoro, la scuola e la famiglia. Dovrà capire l’evoluzione
di una criminalizzazione primaria e secondaria. In tutto questo sarà
fondamentale la conoscenza della filosofia e del pensiero attuali.
Infine deve essere capace di interloquire con le leggi penali, in
maniera positiva e critica, per migliorare la loro applicazione e
indirizzarle verso la prevenzione. Deve collaborare nello studio e nel
processo di miglioramento degli istituti di detenzione, degli OPG,
tendendo sempre a cambiamenti nel rispetto della democrazia e dei più
elevati sentimenti umani.
Abbiamo detto che la Criminologia è una scienza eclettica, ancora poco
unitaria e ciò comporta spesso una lungaggine nelle indagini ed una
imprecisione nei risultati, perché c’è un tentativo di far prevalere un
punto di vista sugli altri, impedendo così una visione unitaria del
problema, cosa che invece dovrebbe essere il dato fondamentale, se si
vuole dare alla criminologia un preciso valore scientifico. Vedremo, in
seguito, se questo è possibile.
Nella sua pratica applicazione, la Criminologia si avvale di diverse
tecniche d’indagine, che cercherò di presentare, seppure sinteticamente,
al fine di offrire un’idea del metodo di procedere nel suo lavoro. E’
suo compito, coadiuvata dalla psichiatria forense e soprattutto da una
profonda conoscenza della psicopatologia, studiare e ben definire i casi
clinici che le vengono affidati; circoscrivere la personalità del
criminale e conoscere, nei particolari, la sua anamnesi, cercando di
sapere, in forma eidetica, senza farsi influenzare dalla fenomenicità
dell’accaduto o dalle facili interpretazioni, che spesso sono
condizionate dalla metodologia scolastica e dalla presunzione
professionale; analizzare l’individuo tenendo conto delle sue origini,
dell’anamnesi patologica remota, di quella recente e soprattutto delle
patologie nervose e mentali, nonché della storia affettiva e sociale
della sua famiglia. Dove servono, deve poi avvalersi dei sondaggi
campionari, raccolti durante il sopralluogo, nella scena del crimine,
evitando al massimo ogni forma di inquinamento delle prove: per esempio
cercare sostanze organiche, come saliva urina, impronte di ogni tipo,
fibre organiche o inorganiche, armi o tracce di esplosivi, cicche di
sigarette, scritte ecc. sulle quali poi compiere le dovute ricerche.
Altra metodologia di cui avvalersi è la ricerca di dati di significato
ambientale e sociale riferibili al soggetto; analisi di statistiche
ufficiali collettive alle quali comparare il caso in esame, per trovare
analogie o spiegazioni razionali o simboliche già trovate in casi
precedenti; quindi analisi di fonti d’informazione, di consultazione di
documenti di ufficio o di trattati precedenti o di documenti storici che
possono facilitare la ricerca, che, in alcuni casi, può essere anche
sperimentale. Vengo anche eseguite le indagini settoriali e gli studi
predittivi riferiti a specifici settori della criminalità, usando i
metodi statistici. In Italia tutti i dati importanti sono raccolti,
elaborati e poi pubblicati dall’ISTAT, mediante i quali si possono
stabilire i tassi riguardanti i diversi reati. Si definisce tasso di
reato il numero di casi, riguardanti quel reato specifico in un anno e
su una popolazione di centomila abitanti. Per esempio, se diciamo che il
tasso degli omicidi di una popolazione è del 5 per centomila abitanti,
vuol dire che in un anno si sono verificati cinque omicidi in quella
popolazione. I dati che la stampa offre, quando si verificano reati
gravi, sono utili per capire meglio il reato secondo le sue
caratteristiche, in quanto offre elementi di cronaca, di sociologia e di
costumi culturali e storici. Quando in un paese vengono fatte indagini
per capire quante persone di questo paese sono state vittime di reati,
si dice che viene compita una indagine di vittimizzazione. Dalla
differenza che intercorre tra i casi denunciati e quelli realmente
accaduti ci danno quel dato che viene definito numero oscuro, cioè quel
numero di reati realmente avvenuti, ma non denunciati ufficialmente.
Questo avviene, per esempio, nel Mobbing, nello stalking, nel bullismo,
nelle violenze sessuali ecc.
Tratterò, adesso, sempre in maniera sintetica, le tre più importanti
teorie criminologiche storiche, prima di avventurarmi nella mia
personale visione della materia, che si vuole porre il problema di una
Criminologia unitaria come Scienza. 1) - La teoria biologica: Il primo
ad incamminarsi su una visione biologica della criminologia è stato
Cesare Lombroso, che opinò il concetto di criminale nato, il quale
ereditava geneticamente i suoi comportamenti delinquenziali in forma
atavica, cioè provenienti dalle origini aggressive e conservative
dell’homo erectus primordiale. Fino a pochi decenni fa la teoria
biologica si faceva forte, in criminologia, con la teoria del cromosoma
Y soprannumerario. Noi sappiamo che il patrimonio genetico dell’uomo
consta di ventidue coppie di cromosomi somatici e di un’ultima coppia di
cromosomi, detti sessuali, che determina il sesso: XX per la femmina e
XY per il maschio; quindi è il cromosoma Y che determina l’acquisizione
del sesso maschile. Studi fatti in passato, nelle carceri e negli
ospedali psichiatrici hanno potuto evidenziare una presenza elevata, nei
soggetti ospitati in questi ambienti, della così detta trisomia, cioè la
presenza di un cromosoma Y aggiuntivo, perciò non XY, che normalmente
determina la sessualità maschile, ma XYY. Si era visto, in particolar
modo, che a presentare l’anomalia trisomiale erano i soggetti
particolarmente violenti e quindi si era pensato che tale anomalia
potesse essere la causa dei comportamenti criminali. Ma, a quei tempi,
purtroppo, gli studi per la ricerca erano metodologicamente superficiali
e non veniva fatta l’indagine su una popolazione di controllo presa tra
i non internati, per cui i risultati erano poco attendibili.
La teoria Psicologica: Data la proliferazione degli studi psicologici,
particolarmente dal XIX° secolo fino ai nostri giorni, farò riferimento
alle più significative di queste teorie, in relazione al fenomeno
criminogenetico e criminodinamico. La Psicoanalisi di Freud, nella
strutturazione dinamica dell’Io aveva individuato alcuni spazi
fondamentali, che si ponevano alla base di una possibile stabilità della
ragione nel rapporto con gli altri e con la realtà, senza prescindere da
una partecipazione filogenetica ed ontogenetica. L’Es, l’Io, il
Super-Io, l’Inconscio e il Rimosso, rientravano per Freud nel gioco dei
rapporti tra l’Io e gli Altri e tra l’Io e il Mondo esterno. In questo
gioco di traslazioni e di accadimenti esistenziali, alla base dei
comportamenti aggressivi, violenti e di stampo criminale, veniva
individuato il significato frustrante del senso di colpa, sotto il
controllo del Super-Io, visto come il “poliziotto interno”. Ma la
Psicoanalisi freudiana era più propensa alla ricostruzione della pace
della coscienza che alla conoscenza profonda della distruttività della
coscienza nel mondo, in quanto Freud, circoscrivendo l’esistenza
dell’uomo tra eros e thanatos, si fermava ad una visione statica e
metodologica, come ogni altra teoria psicologica, della realtà. Tutto si
giustificava nell’istinto di conservazione. E’ chiaro che il suo
pensiero, adeguato ai suoi tempi, che risentivano dell’influenza del
pensiero positivista europeo, si affacciò alla conoscenza dell’epoca con
tutto il suo fascino e con una grande capacità di suggestione, che
ponevano le scienze in uno stato di dubbio epistemologico, come già era
iniziato con la critica alle scienze posta da Husserl e dalla
Fenomenologia, nel libro famoso dal titolo: “Crisi delle Scienze Europee
e Fenomenologia Trascendentale”. In ogni caso, nelle diverse teorie
psicologiche, furono individuate motivazioni interessanti di devianza
del comportamento, sia nel senso psichiatrico, sia nel senso
criminologico. Giova ricordarne alcune di queste motivazioni:
Interessante la teoria così detta “della deprivazione affettiva di
Bowlby, che si basava sulla constatazione, improntata sulla conoscenza
della psicoanalisi freudiana, sulla constatazione che, in circostanze in
cui precocemente si viene a verificare una deprivazione traslativa ed
affettiva, si possono verificare disturbi comportamentali duraturi.
Bowlby, nel suo libro, pubblicato nel 1872, “Attaccamento e perdita. La
separazione dalla madre”, sviluppa e avvicina di più alla biologia il
rapporto madre bambino posto da Freud nella sua teoria psicoanalitica:
egli però, come dicevo prima, valorizza l’importanza dinamica di questo
rapporto, alla luce dei suoi studi della teoria darwiniana sulla
conservazione degli istinti vantaggiosi, come pure, della teoria
biologica ed etologica di Lorenz. Alle stesse conclusioni arrivavano gli
psicologi comportamentismi, come Dollard e Miller, con le loro teorie,
basate sul concetto di “condizionamento”. Dollard e Miller, nella loro
teoria della frustrazione-aggressione, hanno provato, mediante studi
sperimentali, che se un soggetto viene impedito nel raggiungimento di
un interesse o di un obiettivo, in cui crede profondamente, a causa del
sentimento di frustrazione provato, il soggetto reagisce con
comportamenti aggressivi, rivolti direttamente sulla causa della sua
frustrazione o indirettamente su altri soggetti e obiettivi più
accessibili. Il concetto fondamentale di questa teoria è che, alla base
di alcuni atti violenti e di molti comportamenti criminali ci siano una
serie di frustrazioni, che sviluppano aggressività nel soggetto vittima
di tali frustrazioni. Si verificano comportamenti rivendicativi, di
significato compensativo, che talvolta raggiungono espressioni
comportamentali devianti.
Accenniamo adesso alle teorie sociologiche: le teorie sociologiche
partono dal presupposto che la criminogenesi si verifica e si sviluppa
all’interno di ambienti o situazioni esistenziali criminogeni; sono
queste le teorie ecologiche della criminalità. Tra queste citiamo la
teoria di Edwin Sutherland, detta delle identificazioni o associazioni
differenziali. L’autore, nel suo testo “Criminologia”, pubblicato nel
1924, poneva le basi di una teoria sociologica della criminalità,
fondata sulla constatazione che i criminali sono soggetti che si
associano e si formano nel contatto con soggetti criminali, in ambienti
disposti al crimine, e non con coloro che non commettono reati, verso i
quali non manifestano interessi. Un accenno alla teoria dell’anomia,
cioè mancanza di norme, sia sociali, sia morali, con la quale si
evidenzia una sorta di parallelismo tra questo fenomeno di anomia
riguardante una società e la frequenza di reati che si verificano in
quella stessa società. Il termine anomia fu usato in criminologia, per
la prima volta, da Durkheim, nei suoi studi sul suicidio, dando a questo
concetto una interpretazione di dissonanza cognitiva tra le aspettative
garantite dalle leggi e la realtà in cui si vive. Più frequentemente,
anche se con scarsa durata, sono venute fuori teorie basate sulla
conflittualità culturale. Secondo tali teorie, molte volte, i
comportamenti criminosi si sviluppano in ambienti di sottoculture
criminali, che trasmettono ai loro membri alcuni valori criminosi
strutturati in esse, quanto nella cultura della società che le sorregge
e le diffonde. Potremmo fare un esempio, ricordando l’Islam e alcuni
gruppi islamici che interpretano i valori dell’Islam in maniera
soggettiva, aggressiva e distruttiva; non è però il solo esempio: altre
religioni, nel passato come nel presente, hanno male interpretato i
valori religiosi, precipitando in comportamenti violenti e criminosi.
Così pure le ideologie, che quasi mai tengono conto dell’uguaglianza
umana e della conservazione della specie, lasciandosi andare ad atti di
sopraffazione e di violenza. Le teorie sociologiche di criminogenesi
hanno spesso posto il problema dell’importanza dell’ambiente nella
formazione di comportamenti delinquenziali e hanno evidenziato, in
questo fenomeno, l’importanza negativa della stigmatizzazione e di una
conseguente formazione di personalità criminale, prodotta dalla realtà
emarginante dell’ambiente criminogenetico di base, che si distingue per
un consolidamento di un progetto deviante di vita. Questo vuol
significare che, spesso, è proprio l’atteggiamento di rifiuto e di
emarginazione che un contesto sociale adotta nei confronti di alcuni
soggetti o di alcuni gruppi, che spinge tali soggetti e tali gruppi
verso risposte devianti e criminali. Altra teoria è la così detta
teoria dell’etichettatura (labelling, come dicono gli autori inglesi) o
della marcatura (come dicono gli autori francesi), entrambe comunque
metto in evidenza un concetto di emarginazione e di stigmatizzazione
negative che rafforzano la devianza. Questo fenomeno è molto importante,
per i danni che ne possono conseguire, quando si rivolge contro i
comportamenti, seppure errati, dei minori (per esempio i bulli) e verso
la criminalità minorile, dimenticando che l’approccio più positivo, nel
senso di un possibile recupero culturale e sociale, è quello che si
fonda sul tentativo di evitare nei minori l’esperienza carceraria, con
la conseguente loro esclusione dalle normali relazioni umane e sociali,
che sono alla base di un reale reinserimento sociale e produttivo,
evitando così costi rilevanti che pesano sull’economia di tutti i
cittadini.
Resta, infine, da fare qualche accenno alla Criminologia Clinica.
Prende il nome di Criminologia Clinica quella scuola di criminologia, la
più recente nel tempo, che si muove, nei suoi interventi di analisi e di
raggiungimento di un risultato d’indagine, come si muove classicamente
la medicina di fronte ad una patologia: diagnosi, prognosi ed eventuale
terapia, dove il recupero del soggetto che ha commesso il reato sia
possibile mediante un trattamento terapeutico e detentivo, nella forma
ottimale. La diagnosi è dunque è dunque una sorta di strategia
complessiva che, attraverso una serie di elementi indagatori, che non
trascurino l’anamnesi, cioè quei fattori che abbiano potuto contribuire,
se non determinare, la genesi prima e poi l’esecuzione del reato: quindi
i fattori e gli elementi soggettivi ed oggettivi che hanno causato la
criminogenesi ed hanno contribuito allo sviluppo della criminodinamica.
La prognosi si occupa più specificamente del soggetto criminale,
cercando di raggiungere la più completa conoscenza della sua struttura
mentale e comportamentale e di stabilire il nesso di pericolosità e di
persistenza criminogenetica nei confronti della micro e della macro
società. Infine la terapia, vale a dire stabilire un complesso di
interventi di rieducazione, di cure psicologiche, di lavoro, di ambienti
utili a cui affidare il delinquente al fine di un possibile recupero
sociale, sia nel senso morale, di convivenza collettiva, sia di
reinserimento nelle dinamiche socio-affettive e produttive, evitando
così ruoli passivi, che pesano sull’economia generale del paese.
Ovviamente questa terminologia non ha lo stesso significato che aveva ai
tempi di Lombroso, il quale dava a queste definizioni un significato e
un valore specificamente antropologico-medico. Adesso si da a tale
terminologia che caratterizza la Criminologia Clinica un significato
metodologico, utile per raggiungere i precisi obiettivi di sapere con
chi e con che cosa si ha a che fare per poi capire meglio le dinamiche
psicologiche, esistenziali, affettive, ambientali e socio-economiche che
hanno determinano tali eventi ed hanno spinto il delinquente a farsene
carico, pur sapendo delle responsabilità legali e sociali, di detenzione
e di recupero, a cui andava incontro, commettendo il reato. Tale
terminologia, ripeto, ha, per criminologia moderna, un significato
strettamente metodologico, senza pretendere una sua valenza
specificamente medica. Forse un maggiore impegno di attenzione si
richiede quando si deve fare quella che abbiamo chiamato prognosi, cioè
l’analisi approfondita del soggetto che delinque e dell’ambiente in cui
il soggetto nasce, cresce e si costruisce una sua specifica personalità,
mediante le esperienze vissute e attraverso le sue relazioni umane,
dentro e fuori dalla famiglia. Tale attenzione è fondamentale per poter
stabilire il così detto livello di pericolosità sociale, che il diritto,
oggi, pone al centro del giudizio nello stabilire le regole di
trattamento generale e di interventi specifici riferiti a soggetti che
hanno commesso reati. Ci sono e ci sono stati modelli di previsione di
recupero sociale di un soggetto e di valutazione del suo livello di
pericolosità. In passato ha avuto fortuna il metodo sviluppato dai
coniugi Glueck, mediante il quale intendevano stabilire il livello di
invischiamento di un soggetto in una, così detta, “carriera criminale”.
I coniugi Glueck posero tre variabili fondamentali, mediante le quali si
poteva stabilire, in forma revisionale, il futuro comportamento del
soggetto, nel significato criminogenetico. Le prime variabili
sviluppavano il rapporto del soggetto con la famiglia di origine:
ambiente famigliare, con tutte le sue tensioni interne o indotte; il
comportamento dei genitori, più o meno comunicativi, con i conflitti
interpersonali e con le loro frustrazioni; la presenza di valori e la
costituzione di eventuali controvalori, nati da problematiche
psicologiche, morali, economiche, di carenze culturali ecc. Le seconde
variabili erano indirizzate allo studio della personalità del soggetto,
osservato nella sua complessiva formazione, cioè il bagaglio psicologico
che determinava una sua eventuali instabilità comportamentale ed
emotiva; la capacità dimostrata dal soggetto nel saper resistere o meno
alle frustrazioni del vissuto quotidiano; la valutazione delle dinamiche
inconsce del soggetto e quindi il suo livello di impulsività , comprese
le sue capacità di autocontrollo e di inibizione delle pulsioni. Le
terze variabili erano rappresentate dalla consistenza e dalla
valutazione dei reali comportamenti del soggetto e quindi dalle
specifiche azioni illegali commesse nell’arco della sua formazione,
compresa la fase antecedente alla precisa criminalizzazione del suo
comportamento. Quindi stabilire la precocità del comportamento deviante
(per esempio un bambino che commette reati in tenera età, perché magari
influenzato negativamente dall’ambiente, più facilmente può adottare ed
aggravare, nel tempo, i suoi comportamenti devianti.); la tendenza o
meno di recidivare i reati o i comportamenti sbagliati; la tendenza
all’utilizzo precoce di sostanze alcoliche o del fumo (anche in questo
caso è importante capire il tipo di influenza che può esercitare su di
lui la famiglia o l’ambiente in cui vive, comprese le violenze subite,
specie negli ambienti famigliari promiscui); l’uso, più o meno precoce o
anche in età adulta di sostanze psicotrope o psicoattive, ecc.
Detto questo, resta da affrontare il discorso della possibilità di
realizzare il raggiungimento di un concetto nuovo, più pratico, di
Criminologia, intesa come scienza unitaria, alla quale si possono
doverosamente affiancare, come utile supporto di verifica, altre
discipline come l’antropologia, in particolare la scuola di antropologia
culturale, la psicologia clinica e comportamentale, la sociologia, in
particolare quella parte della sociologia che studia la devianza, il
diritto, particolarmente il diritto penale, che si occupa della
valutazione del danno commesso dal soggetto e stabilisce la pena da
fargli scontare, valutando poi, con l’aiuto della psichiatria, il
livello di pericolosità sociale, la criminalistica, la psicopatologia,
la biologia, specie per la valutazione del DNA, nuova impronta sulla
scena del crimine, le scienze investigative, la psicologia evolutiva, la
psichiatria clinica e forense, la medicina legale ed infine la
filosofia, specie la filosofia delle scienze e quella parte del pensiero
che cerca l’essenza delle cose, cioè la fenomenologia di tipo
husserliano.
Comunque giova chiarire che questo non vuol dire fare uscire la
confusione scientifica dalla porta della Criminologia come Scienza, per
farla rientrare dalla finestra. No, perché sarà compito della
Criminologia, che trova una sua concreta forma di unità d’indagine
nell’intuizione globale sulla scena del crimine, a chiedere gli
eventuali supporti tecnici suggeriti dalla situazione alle diverse
discipline, che rimangono in se stesse, senza rivendicare ruoli
scolastici, oltre quelli naturali.
Gli elementi fondamentali che la Criminologia come Scienza deve
considerare nel momento in cui viene commesso un crimine sono tre: il
criminale, il tipo di reato, cioè il crimine ed infine il terzo
elemento, che, per una possibile comprensione criminogenetica e
criminodinamica, è fondamentale perché consente una visione unitaria
dell’evento, unendo insieme la personalità psicologica e socio-culturale
del delinquente ed il crimine in sé, quale azione direttamente scelta
dal criminale, consciamente o inconsciamente, direttamente o
indirettamente, cioè il movente. Solo procedendo in questa direzione la
Criminologia può rivendicare un suo ruolo di scienza esatta ed unitaria,
il cui compito è quello di capire i reati, non scindendoli mai dai rei,
mediante l’intuizione prima e la ricostruzione poi di quanto è accaduto.
Il movente è un elemento importante nell’analisi del crimine e nella
rappresentazione antropogenetica e socio-culturale del criminale. Senza
cadere negli schematismi classici delle diverse teorie criminalistiche o
criminogenetiche, che solitamente si sostengono sul dato stesso della
loro appartenenza ad una o ad un’altra teoria, allontanandosi così dalla
verità, che già, in un evento delittuoso, è difficile individuare e
definire, possiamo porre alcuni punti fermi che si definiscono da soli,
per la loro intrinseca natura, che nulla ha a che fare col nostro
giudizio culturale; anzi il compito che ci dobbiamo porre, ogni
qualvolta siamo chiamati per cercare una possibile verità sull’accaduto,
è quello di saper mettere in parentesi ogni giudizio e di guardare, con
occhi trasparenti e privi di immagini o impressioni preconcette, la
scena del crimine. Alcuni elementi spontanei della criminogenesi
semplificano la conseguente indagine scientifica che si avvarrà poi
delle diverse tecnologie e del supporto di altre discipline richieste.
Una prima distinzione è quella che nasce dall’impressione che si prova,
durante il sopralluogo, se il movente appare facilmente raggiungibile o
se invece appare irraggiungibile ed assurdo. Nel primo caso sappiamo di
trovarci, facilmente, davanti ad un soggetto criminale lucido e
determinato; nel secondo caso, invece, facilmente, potrebbe trattarsi di
persona portatrice di disturbo mentale. Altra naturale distinzione è
quella legata al sesso del criminale: la scelta dello strumento lesivo
e mortale. Sappiamo che l’aggressività è maggiore dove sussiste, nel
criminale un abbassamento del tasso di serotonina o un amento del
testosterone. Perciò è diverso un omicidio commesso da un maschio da
quello commesso da una donna. Cambia la violenza e la forza
d’esecuzione, ma soprattutto il mezzo. I maschi uccidono con armi da
fuoco o da taglio, oppure usando le sole mani come corpo contundente o
utilizzando oggetti pesanti. La donna, invece, fa uso di veleni o di
farmaci, nell’ 80% dei casi; nel 20% dei casi fa uso di armi da fuoco.
Il movente del maschio e la rabbia, la vendetta, la gelosia, l’istinto
di conservazione o gli interessi socio-economici. Nella donna l’ 80 %
dei moventi sono legati ad interessi economici, specie dopo separazioni
o divorzi; nel 20 % dei casi il movente è legato ad un bisogno profondo
di rivendicare sulla vittima una sua supremazia. In alcuni casi non
agisce da sola. E’ solo sul movente che si può stabilire un principio di
analisi criminologica, che non sia viziata da diversi punti di vista
pluridisciplinari, talvolta in conflitto tra di loro, come abbiamo
verificato, per fare un esempio, nel caso di Cogne e in moltissimi altri
casi, rimasti insoluti proprio a causa di una mancata coerenza e unità
d’indagine: possiamo perciò affermare, come inizio unificante di un
percorso che renda scientifico il ruolo della Criminologia, che il
criminologo ha il compito di personificare l’unità e la verità della
scienza criminologica, dirigendo, in prima persona, tutti i movimenti
della scena del crimine, cioè del sopralluogo, a partire dalla sua più
attendibile intuizione su un movente, da cui si possa poi arrivare alla
configurazione della personalità del criminale. Considerando la
Criminologia nella sua essenza, vale a dire nel significato eidetico,
che si dimostra per ciò che è, nella materia stessa di cui si occupa,
cioè il crimine e, di conseguenza l’autore di questo crimine, e non
nelle tecniche multidisciplinari di indagine, arriviamo alla conclusione
che l’unica maniera possibile che le scienze ci offrono per una
soluzione del caso, su cui la Criminologia e il criminologo indagano, è
la considerazione fenomenologia del sapere scientifico e del suo
procedere, pertanto anche della Criminologia come scienza. Ciò vuol
dire, per esempio, che sul luogo del crimine, non serve entrare con un
bagaglio di supposizioni e di preconcetti, che allontanano ogni
possibilità di approccio con l’accaduto reale, ma serve invece porsi col
massimo della razionalità possibile, mettendo tutti i giudizi in
parentesi, facendo cioè una epoche, ponendoci, il più possibile, in un
rapporto naturale e perciò privo di emozioni e di immaginazioni, in
contatto con l’essenza di quella realtà. Un omicidio ha come prima
essenza il fatto che viene negata ad una persona, prima vivente, il suo
stato di esistenza. Segue poi, sempre sul piano dell’essenza, che c’è
stato qualcuno che ha annullato tale esistenza: questo qualcuno, per
legge naturale, può essere lo stesso soggetto che si è voluto privare
della sua esistenza (e in tal caso parliamo di omicidio-suicidio) o una
persona diversa (in tal caso parliamo di omicidio puro, che a sua volta
si può distinguere in omicidio cosciente o incosciente, il primo con un
preciso movente, il secondo senza una movente specifico, frutto
dell’irrazionalità). L’omicidio o il crimine, in quanto tali, possono
sussistere al di fuori delle categorie immediate, cioè spazio e tempo,
potendosi verificare in qualunque luogo ed in ogni attimo del tempo
vissuto. La specificità di un accadimento criminoso perciò ha un senso e
un valore eidetico proprio nella sua specificità fisica, che lo rende
particolare all’interno di una sua universalità che comunque lo
conferma: questa è la maniera trascendentale di procedere nella
conoscenza di qualsiasi accadimento delle diverse scienze. Diversamente
si cade in un intrigo di psicologismo, cioè di dati psicologici, che si
scontrano con le particolari e molteplici visioni della realtà, la
quale, per questo, diventa derealizzata. Il criminologo sa che un
omicidio, pur rappresentando un atto di negazione della vita dell’uomo,
è un accidente specifico che si nutre dell’universalità del suo genere,
ma si chiarisce solo attraverso la sua specificità fisica e naturale.
Perciò il suo procedere è un andare verso la verità dell’accaduto, senza
sapere che quella è la verità, pur considerandola tale nel suo
significato di atto irriducibile, quindi assoluto, cioè di perdita
irreversibile della vita. Su questa strada ogni aspetto fenomenologico,
di metodo e di approccio psicologico e disciplinare, rappresenta una
complicazione per la possibilità di esperire la verità, se prima non si
avvale dell’intuizione univoca del criminologo, che deve cercare la
verità senza farsi ingannare dai possibili giudizi suoi o degli altri o
dalle molteplici esperienze, che potrebbero coprire la singolarità del
crimine. Dobbiamo saper fare conciliare l’immediato con il mediato. Una
scienza eidetica si fonda sulla sua capacità di porsi nella sua
immediatezza, cioè nella sua essenza, e di seguire procedimenti
esclusivamente eidetici, cioè procedimenti che, sin dall’inizio, non si
fanno violentare e falsificare da rapporti con cose o leggi che li
inquinano, non avendo un valore eidetico, cioè di rapporto immediato con
la realtà e con la ragione. Ma come proiettare questo bisogno di
essenzialità e di concreto accostamento alla verità, senza farsi
ingannare da emozioni o pregiudizi, sulla scena del crimine? Il
Criminologo deve osservare, col massimo della capacità unitaria, la
complessità percettiva delle singole cose che si presentano nel
sopralluogo, tenendo presente che la percezione mediata, cioè dipendente
da una molteplicità di singole cose e da una presupposta conoscenza ed
esperienza, si deve sempre fondare su principi immediati. L’immediatezza
presuppone una sua precedenza rispetto alle singole cose, che possono
distogliere l’attenzione dalla stessa verità. Ma che vuol dire, nel caso
della scienza criminologica, immediatezza? Vuol dire saper mettere in
parentesi ogni giudizio e porsi immediatamente nella condizione della
vittima, tenendo conto dell’oggettività e della massima logicità della
situazione, nella maggiore attinenza specifica del criminale
situazionale e cercando di dare un valore matematico, perciò di scienza
esatta, al movente. Prendere poi coscienza di questa essenzializzazione
del caso, vuol dire cercare di evitare, con ogni mezzo, la
psicologizzazione dell’essenza. E’ questo un lungo percorso da
approfondire nel tempo, con un’accurata ricerca, se vogliamo dare alla
Criminologia un valore di scienza ed evitare che, in un sopralluogo,
tutto si riduca ad una raccolta di dati di mestieri e di conoscenze
multidisciplinari, spesso in conflitto tra di loro e, comunque, lontani
dalla verità dei fatti.
Prof. Antonio Vento
08-11-10
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