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UN CASO DI CLAUSTROFOBIA

Come faccio ogni mattina, all’alba, quando tanta gente si sposta silenziosa, quasi disturbata da ogni forma di comunicazione, alla stregue delle formiche che si muovono in cordata, in cerca di cibo da conservare per momenti più difficili o come gli sciami di api che inseguono i profumi dei fiori, da cui cogliere il polline, anch’io, piccola e dispersa formica di quest’umano formicaio, l’altro ieri, sono salito sul 90, che mi porta fino all’incrocio della nomentana con viale ventuno aprile, ad attendere, con pazienza, il 310, che mi conduce a destinazione, cioè all’università, dove, da circa quarant’anni, impegno la mia esistenza. E’ sempre un’impresa dura, carica d’impronte esistenziali, tra odori misti e calori indecifrabili per la loro origine: il sudore primeggia sul tanfo di urina, frammista a colonie di bassa qualità e ad odori di corpi poco lavati e di piedi sudaticci, pressati l’un l’altro, come in un carro bestiame, senza alcun rispetto della dignità e della libertà dell’uomo.Di solito, noi italiani rappresentiamo la minoranza, perché a lavorare si muovono di più le persone extracomunitarie. Si ha l’impressione di stare all’estero, in un paese ad economia da terzo mondo, talvolta svuotati e privi di speranza. Lungo il cammino, sentivo qualcuno, dietro di me, che mi stava appiccicato, impedendomi ogni movimento, seppure la cosa non mi disturbava, abituato e paziente come sono, che respirava in maniera affannosa, quasi ansimante. Era un giovane giapponese, forse uno studente, che si recava a lezione. Mi resi conto che soffriva di un attacco di panico con claustrofobia. La gente impietosa, in preda ai propri pensieri, lo ignorava, quando cadde, perdendo la coscienza, poco prima della fermata. Un mutismo generale si adagiò sulla massa informe dei presenti, rotto soltanto da qualche urlo di paura. Invitai tutti a fare un po’ di spazio ed a sorreggerlo e avvicinarlo alla porta per poter respirare. Appena la porta si aprì, il ragazzo si riprese, ritrovando le sue energie: era un caso di claustrofobia. Ma quanti casi simili si verificano, ogni giorno, sugli autobus affollati o sulle metropolitane di Roma e delle altre grandi città del nostro paese? Certamente tanti, perché ormai la funzione delle strutture organizzative dell’urbanizzazione ha preso il sopravvento sui valori dell’esistenza: il primo interesse è guadagnare. Roma è una città meravigliosa, per la sua arte, per la sua storia, per il suo clima, ma divenuta invivibile e mostruosa, come tutte le grandi metropoli del mondo, per il caos, per l’indifferenza, per un’immigrazione selvaggia e mal compresa, che sta alla base dei malintesi di convivenza, destinati a crescere, se non si fa subito chiarezza. Vorrei stimolare l’attenzione di tutti, pur sapendo che non è facile, a causa dell’appiattimento del pensiero, divenuto povero, perché scarsamente sollecitato dai temi della cultura e dell’umana convivenza. Si parla spesso di etica e si giustifica ogni cosa che si propone sotto il cielo stellato, senza fare un’analisi corretta di quanto accade attorno a noi. E’, senza alcun dubbio, giusto che ci siano, di tanto in tanto, rimescolamenti razziali, causati dal bisogno e dalla fame, che l’occidente ha voluto ed aggravato nel tempo: la storia ci ricorda che neppure la chiese è esente da tali responsabilità, basta ricordare le crociate o i templari, che uccidevano e depredavano i più deboli, alzando gli occhi verso Cristo. Ma domandiamoci a che possa servire richiamare alla nostra attenzione i principi umani di convivenza, se questi debbano poi significare sterili preoccupazioni morali, di un’etica spenta e ipocrita, senza contenuti e, forse anche, blasfema. Per restare in tema di trasporti, chi si preoccupa più dei bambini o degli anziani, che sono costantemente alienati dalla sopraffazione dei presenti, tra pacchi enormi di merci pronte ad essere spalmate lungo i marciapiedi della città, per essere vendute al mercato nero? E chi pensa alla prostituzione che trova nel nostro paese, di stolti libidinosi, la sua Mecca? Che dire poi del falso concetto di libertà che viene posto alle coscienze, col richiamo alla solidarietà? Ma lo sappiamo che, se non si regolamenta il fenomeno dell’immigrazione, noi italiani, molto presto saremo una minoranza, governata e sopraffatta dai nuovi arrivati, specie dai cinesi, che dopo la conquista del primato dell’economia nel mondo, potrebbero pensare anche al dominio militare del mondo? E’ forse questa la morale umana? Gli italiani hanno lavorato nei decenni per costruirsi una stabilità ed una serena convivenza: oggi rischiano di perderle. Roma si ritrova situazioni paradossali come quella dell’ex istituto IFI, Regina Elena, che costa moltissimo alla pubblica amministrazione e quindi ai cittadini, divenuto dominio e possesso degli extracomunitari, senza che il comune, la regione, le istituzioni o le autorità dello Stato abbiano mai esaminato seriamente il problema. Altro che striscia la notizia: in questo caso striscia se stessa. E la vicenda dell’Ospedale  San Giacomo? Meno posti letto per l’assistenza, più speculazione nella capitale: già si fa qualche nome illustre come acquirente, forse un ex amministratore della città eterna.

Prof. Antonio Vento

12 ottobre 2008

 

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