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CASO COGNE
Assistiamo, al solito, ad un dibattito
processuale da spettacolo. Supposizioni, perizie psichiatriche, dirette
ed indirette. Nervosismi in aula, arringhe talvolta male supportate.
Come arrampicarsi sugli specchi, in attesa che qualcosa succeda. La
Psichiatria Forense e la Criminologia (e chi scrive è Psichiatra,
Psichiatra Forense e Criminologo) sono scienze, che pur movendosi, col
sopralluogo e con la definizione dei comportamenti e degli eventi, in un
terreno di supposizioni e di ricerca dei dati oggettivi, sono pur sempre
da considerare esatte, perché muovono da principi metodologici più volte
verificati. Per esempio perché non è stata mai (o almeno non mi risulta)
considerata importante una prova ergometrica dell’azione contundente e
l’analisi dell’arma del delitto?
Per la fisica ogni forza è data dal prodotto tra la massa e
l’accelerazione (f.=m. x a.), secondo quanto attesta la seconda legge
della dinamica. Una simulazione di un corpo accelerato da una mano
contro un involucro, dalla consistenza e quindi dalla resistenza di una
teca cranica di un bambino di 4 anni (la vittima), ci consentirebbe di
risalire (nonostante le forzate approssimazioni dovute al fatto che non
si conosce il corpo contundente e quindi non si può definire la massa)
alla definizione della forza che ha spinto il corpo contundente sulla
testa della vittima, provocando 17 ferite e non una morte immediata, ma
lenta per il dissanguamento (mi pare alcune ore intercorse tra
l’accaduto e l’arrivo dei soccorsi, nel cui lasso di tempo, a mio
avviso, si è svolta tutta la dinamica degli eventi, senza la quale non
può essere raggiunta una conclusione.). Intanto possiamo, alla luce del
discorso precedente, affermare che la forza che ha causato le ferite sul
cranio della vittima, non era una forza adeguata ad una struttura
energica, bensì di poco superiore alla struttura fisica e dinamica della
vittima.
Mi domando poi: poteva essere il corpo contundente (arma del delitto) un
pezzo di legno (un tronchetto di alcuni centimetri di diametro) che si è
abbattuto, con accelerazione costante, sulla testa della vittima, per 15
volte colpendo dalla faccia liscia, e solo negli ultimi due colpi, con
uno spunzone casuale, essendo il legno in discussione ruotato nelle mani
dell’esecutore dell’azione? Una siffatta ipotesi spiegherebbe la lenta
morte per dissanguamento e ci darebbe una giustificazione del mancato
ritrovamento dell’arma, che potrebbe essere stata bruciata nel camino,
che quella mattina risultava acceso. Qualcuno potrebbe obbiettare che
non sono stati trovati frammenti di legno sui bordi delle ferite, ma è
facile intuire (sempre che questa ricerca di frammenti di legno sia
stata effettuata) che il deflusso del sangue l’abbia portati via, come
un torrente che ripulisce il suo letto lungo il percorso.
Nel sopralluogo, inteso come ricerca di dati fondamentali per un valido
giudizio penale, non si può procedere per supposizioni, ma su prove
tangibili e verificabili, né, tanto meno, si può formulare una condanna
soltanto attraverso le perizie psichiatriche (nel caso Cogne tante, anzi
troppe), considerando pure che il personaggio in esame, la madre, è una
madre certamente disturbata da questa drammatica vicenda e quindi,
adesso, poco utile sotto il profilo di un giudizio psichiatrico. Tutt’al
più, potrebbe essere interrogata, a questo fine, la psichiatra che la
seguiva nella gestione dei suoi disturbi d’ansia (da qualcuno
menzionati).
In ogni caso il diritto, nel condannare una persona per un crimine, deve
essere in possesso di prove certe e non soltanto di analisi psicologiche
o di dati che possono essere interpretati in più maniere : un delitto ha
una sua specifica dinamica, un suo movente, ed un’arma o un mezzo con
cui viene messo in atto. E se ci troviamo davanti ad una donna, una
madre, sulla quale primeggia l’amore e non la follia? Le coscienze non
devono cibarsi di spettacolo (forse sono i tempi!) ma di
verità.
Prof.
Antonio Vento
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