Università degli studi di Roma
La Sapienza
OSSERVATORIO NAZIONALE MOBBING

HOME    MOBBING    PUBBLICAZIONI    ARTICOLI    CONVEGNI E SEMINARI    CONSULENZE    RICERCA    LINK

 

Indice

I BLACK BLOC E IL DISAGIO SOCIALE

Stavo proprio leggendo dei passi delle opere politiche di Platone, riferite al concetto di Democrazia, quando mi giungeva la notizia che, per le strade di Roma, nel pomeriggio del trascorso 15 ottobre e fino a tarda sera, si scontravano le forze istituzionali con un gruppo di militanti incappucciati e vestiti di nero, come per distinguersi dalla massa poderosa (si parlava di circa duecentocinquantamila presenze) ch’era scesa in piazza per protestare pacificamente.
Ero arrivato al punto in cui Platone, nel definire la Democrazia, accennava al fatto che l’essenza di tale forma di governo trova la sua positività e il suo valore solo nella possibilità che questa “politeia” possa garantire a tutti il valore della giustizia; diversamente si confonderebbe con la dittatura.
Le strade di Roma, attorno alla Basilica di San Giovanni, s’incendiavano e si condensavano nel fumo acre di lacrimogeni, di macchine e di cellulari che ardevano come ceri davanti ai frammenti di una statua della Madonna, sul sacrato di una piccola chiesa: è vero è triste constatare che l’uomo non è in pace con se stesso e che non lo può essere, data la cattiva distribuzione dei diritti sanciti dalla giustizia, ma certamente non è scandaloso, se si ricordano i grandi disastri messi in atto dai cristiani, nei secoli, sotto il segno della croce. Forse, allora (già avanti Cristo), Platone, come pure Aristotele, passavano per “cattivi maestri”, perché parlavano di democrazia, contro l’immagine di governi retti da monarchi, da imperatori e da dittatori, pur non avendo il popolo un vero potere e la garanzia della giustizia: Cristo predicò dei valori che non piacquero ai romani e finì sulla croce, come un comune ladrone. Oggi, rivendicare i propri diritti scandalizza e chi si azzarda a protestare, come all’inizio dell’anno mille, viene messo in galera, descritto quale uno sporco delinquente: eppure sono i nostri figli e i giovani disagiati del mondo; sono il prodotto di questa cultura, che viene descritta, dai benpensanti, che si tappano gli occhi con la malafede, come la cultura dei cattivi maestri. I black bloc colpivano, per le strade di una città che ha dato ospitalità ad uno dei più violenti imperi che la storia ricordi, dove pure la chiesa ha trovato il suo sicuro rifugio, le vetrine delle banche e dei grandi magazzini delle multinazionali, ma purtroppo anche i giovani poliziotti e carabinieri che stavano lì, in piazza, a difendere tali istituzioni, solo perché stipendiati, non essendoci alternative di lavoro, data la grande disoccupazione dilagante. Mi tornavano in mente, in quei frangenti, le parole di Pasolini (in Teorema) che descriveva questi giovani come poveri figli del popolo, dello stesso popolo, però, che l’ha ucciso in maniera impietosa e con la confusione della giustizia.
Tra ieri ed oggi non si fa che parlare della violenza anarchica di questi giovani, definendo chi si azzardi a chiedere un po’ di chiarezza sulle cause di quanto è accaduto cattivo maestro. Come al solito, i giornalisti e i conduttori dei mezzi di comunicazione, creano confusione, come nelle indagini criminologiche trascorse, finite con decisioni vergognose, che nulla hanno a che vedere con la verità e con la giustizia: fanno solo spettacolo.
Invece di fare tante chiacchiere, che si spiegano da sole, con la vergogna di una politica che rispolvera figure inquietanti per governare, col fatto che non esiste un ricambio governativo, con una sinistra che fa pena quanto la destra, con una legge elettorale che penalizza i giovani, perché a scegliere i candidati sono i partiti, i quali non si pongono il problema della reale capacità politica, ma solo la piena sottomissione ai capi, col fatto che sesso e corruzione si sono mescolati alle scelte della politica, pur definendola politica democratica, cercassero di capire che la notizia non deve garantire i padroni delle testate giornalistiche, degli editori e dei proprietari dei canali televisivi e perseguissero di più i valori di verità e di giustizia. Iniziassero loro ad essere buoni maestri per la storia e per la cultura.
I giovani hanno il diritto di essere considerati per i loro meriti, senza dovere elemosinare un alienante posto di lavoro, che inizia e termina quando il padrone decide, senza alcun diritto umano.
Comunque tutto era scritto ed è scritto (per quello che ancora deve accadere): un popolo che rinuncia istituzionalmente alla cultura è destinato a soccombere e ad essere soppiantato da nuovi ceppi antropologici, che recentemente, grazie alla globalizzazione, hanno aperto gli occhi sul mondo: d’altra parte, chi di spada ferisce di spada perisce. Riflettiamo, senza sputare sentenze inutili!

 Prof. Antonio Vento

17-10-11

 

Tel.06-49918107, cell. 338-7710372, e-mail : ventoa@hotmail.it - Istituto di Anatomia Umana, via Borelli n. 50
Tutti i diritti riservati. Vietata la riproduzione anche parziale senza previa autorizzazione