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ALZHEIMER ED INVECCHIAMENTO CEREBRALE
 

Molti autori hanno considerato l’Alzheimr come una forma di invecchiamento cerebrale e non una vera e propria sindrome, ma questo problema non è ancora stato risolto. Nell’invecchiamento, come nell’Alzheimer, nonostante i processi dendritici compensativi, è stata riscontrata un’atrofia dei neuroni colinergici in sede proencefalica basale, come nel nucleo di Meynert, nella banda diagonale di Broca e nel setto mediale; per quanto riguarda invece i neuroni monoaminergici si può riscontrare un processo di atrofia neuronale nel locus coeruleus; riguardo ai neuroni dopaminergici invece, si riscontrano processi atrofici nella substantia nigra. Pare che ciò sia causato dall’accumulo di due prodotti del metabolismo cellulare, la melanina e la lipofuscina, che schiacciano il citoplasma dei neuroni interessati o, secondo altri, rallentano il trasporto di NGF (nervegrowth factor) lungo l’assone, a causa dell’età dei soggetti, altre teorie ancora imputano tale invecchiamento a fattori circolatori o di per fusione capillare.
Diciamo comunque che l’impoverimento neuronale non avviene solo nella neocorteccia, dove tale fenomeno è più vistoso, ma anche nelle strutture sottocorticali come il bulbo olfattivo, alcuni nuclei ipotalamici, come il nucleo preottico mediale, il cervelletto. Tutte le altre cellule, come le cellule gliali, la microglia, gli astrociti ecc., vanno incontro a modificazioni strutturali. Basta pensare alla diminuzione della mielina, che normalmente riveste la superficie degli assoni per la trasmissione bioelettrica. E’ stato notato, nel processo di invecchiamento cerebrale, specie nell’ippocampo, la presenza di ammassi neurofibrillari con placche di proteina y beta-amiloide. E’ proprio l’interessamento dell’ippocampo e di altre aree corticali, come l’amigdala e la corteccia associativa libica, che caratterizzano il quadro anatomo-patologico dell’Alzheimer  e nell’invecchiamento. Comunque, la differenza che si nota tra soggetti anziani e soggetti affetti di Morbo di Alzheimer è solo una differenza quantitativa, non qualitativa, di presenza di proteine beta- amiloide, nei vasi sanguigni che irrorano il cervello e nelle meningi.
Nell’alzheimer, come nell’invecchiamento, si nota poi una modificazione delle strutture dendritiche, che diminuiscono il loro spazio di arborizzazione, specie nell’area di Wernicke. Diminuisce poi la potenzialità plastica del cervello, cioè l capacità di adattarsi all’ambiente e a creare sinapsi o a modificare quelle già esistenti. C’è poi da aggiungere che anche la velocità di trasporto degli stimoli, da pare dei neuritrasmettitori, cioè dall’acetilcolina e dalle catecolamine, producono delle variazioni nella formazione della memoria e del GABA, specialmente nella regione talamica. Aumenta, nel cervello, la presenza di concentrazione di enzimi MAO (monoaminossidasi), forse per eventi ossidativi, causati dalla presenza di radicali liberi nel sangue. E’ chiaro che, a causa di quanto detto sopra, ci sarà un rallentamento cognitivo, più o meno radicale, conosciuto come fenomeno degenerativo del cervello, legato alla alterazione della composizione fosfolipidica della membrana dei neuroni dove si riscontrano la presenza di radicali liberi e di variazioni di colesterolo nella membrana neuronale, come pure si riscontra nell’Alzheimer. Anche il sistema d’irrorazione sanguigna del cervello cambia nell’Alzheimer con conseguente diminuzione di ossigeno e di glucosio: il flusso sanguigno nell’anziano pare sia ridotto del 20% circa, in relazione ad una diminuzione di circa il 10 % dell’ossigeno consumato. Questi parametri aumentano ulteriormente nei processi patologici del cervello. Ma questo può avvenire non solo per una diminuzione dell’afflusso sanguigno, ma anche per una forte diminuzione degli stimoli sociali ed ambientali, che si verificano nel corso di queste patologie degenerative. Diminuisce così la risposta intellettiva di questi soggetti, ma anche la risposta motoria, dato che spesso gli stimoli non riescono a superare il livello di soglia. Questo perché si ha una riduzione dei livelli di neurotrasmettitori e una diminuzione della funzionalità emato-encefalica che comporta una carenza di nutrimenti cellulari. Per questo motivo il soggetto anziano spesso appare confuso e iperattivo nelle risposte, perché c’è un’alterazione di trasmissione e di superamento delle barriere.
Vediamo come si sviluppa, sul piano autogenetico, la CPF, cioè la corteccia prefrontale. Nei mammiferi la corteccia prefrontale, come d’altronde tutta la neocorteccia, si forma e si differenzia nel tempo attraverso la migrazione cellulare lungo le fibre talamocorticali. Tali fibre gliali indirizzano le cellule germinali che sono originariamente depositate nel ventricolo, fino ai loro rispettivi livelli della corteccia. Nell’uomo questo processo si verifica all’incirca nel settimo mese di gravidanza e raggiunge il suo compimento con la nascita. Inizialmente le ramificazioni dendritiche sono ancora rudimentali e il volume cellulare ancora piccolo, e tale processo di crescita progredisce fino alla maturazione, che avviene circa due anni dopo la nascita. Dopo tale età il processo maturativi della corteccia continua, anche se più lentamente, fino a 16 anni, con un certo ritmo, ma continua lentamente per tutta la vita del soggetto. Man mano che il soggetto cresce, aumenta anche il processo di mielinizzazione della CPF. Maturano così le aree associative motorie e sensitive primarie, che comunque sono soggette a variazioni nel tempo. E’ necessario considerare l’importanza dell’educazione e dell’apprendimento, nella formazione della CPF e delle aree associative, che sono certamente più spiccate nei bambini che vengono sollecitati dall’ambiente e dalla microsocietà. Voglio qui ricordarvi che la costituzione e la crescita della CPF rimane alquanto stabile nell’adolescenza e nell’età adulta e quindi si può evincere l’importanza dell’infanzia nella formazione della personalità affettiva ed intellettiva dei bambini,  e chissà che non abbiano una prima influenza nella futura verifica di stati patologici e degenerativi del cervello.

        Prof. Antonio Vento

20 agosto 2007

 

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