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AL LIMITE DELLA RIFLESSIONE
Miei cari visitatori,
il cammino delle idee è lungo e, qualche volta, difficile:
paradossalmente difficile per mancanza di idee; dunque le idee mancano a
se stesse e non riescono più a dare risposte (ideali) a chi le pratica
per una idonea comprensione dell’ essere. Nell’altrettanto lungo cammino
della storia dell’uomo, senza il quale le idee non sarebbero potute
esistere, si può affermare che le idee sono il nulla, non avendo
una loro autonomia al di fuori dell’uomo, salvo volere ammettere
un’entità superiore che, ultra-platonicamente, potrebbe giustificare una
loro autonomia, per rientrare però in una diversa, anche se unica sotto
il profilo della metafisica, nullità. Ma senza volere sfruttare una
concezione apodittica della realtà e quindi della situazione in cui
l’uomo è venuto a trovarsi, nell’arco dei secoli della sua evoluzione, è
utile individuare dei punti fermi che possano riproporre un mezzo di
ripresa evolutiva, ammettendo (ancora paradossalmente) che ciò serva,
della sua condizione esistenziale, in un più ampio processo di
comprensione della metafisica. Purtroppo, per l’uomo, con l’avvento
dell’industrializzazione, è venuto sempre più a mancare il bisogno di
rapportarsi all’ontologia e si è andato sempre più a concretizzare, in
termini di immanenza, la ricerca teleologica di un suo rapporto fisico
col mondo: da qui il proliferare delle scienze (così dette positive)
che, per un certo periodo di tempo della storia dell’umanità, hanno dato
l’impressione di una vittoria assoluta dell’io sull’universo, in
opposizione ad ogni teoria che non ponesse al centro dei suoi interessi
speculativi il dominio dell’uomo sulla natura. E ancor più, hanno
cercato di giustificare una serie di idee fittizie, valide solo al
rafforzamento della nullità nei confronti di qualsiasi aspirazione
all’assoluto: si sono così proposte alcune discipline, come la
psicologia e l’economia, quali baluardi degli interessi dell’uomo, in un
suo positivo adattamento alla vita, facendogli credere di poterlo
liberare dall’angoscia della sua finitezza e, soprattutto, dal terrore
della morte. E’ stata tentata una ridicolizzazione delle grandi idee,
come la libertà, l’uguaglianza, la fratellanza e così via, per
giustificare invece le guerre, lo sfruttamento e la fame, la
disuguaglianza storica (la storia come percorso dell’ipocrisia del
potere), il pragmatismo tecnocratico e così via. La giustizia e la pace
sono state invece poste come idee così grandi (col fine di annullarle)
che potrebbero esistere soltanto in una diversa condizione dell’uomo,
forse diametralmente opposta a quella attuale, ma che, comunque, devono
sussistere nell’immaginario collettivo, quale forma di garanzia in
riferimento all’assoluto, ipocritamente accantonato. E’ evidente che
assoluto e potere non possono stare insieme: il primo si riferisce al
rapporto che l’uomo tenta di instaurare tra lui e la metafisica, per
avvertire, in maniera trascendentale, il bisogno di credersi e di essere
parte di quest’assoluto; il secondo invece è un suo rispondere al
fascino pieno per l’immanenza, dentro la quale tenta di nascondere le
sue angosce. Lo strumento della trascendentalità tra questi due aspetti
può, oggi, consentire la ricomposizione dell’io in un suo rapporto,
minimamente conflittuale, con la realtà e, pertanto, evitare che l’uomo
sprofondi in un errore di condizionamento immaturo e privo di
prospettive, accettando passivamente una presenza astratta in una
qualsiasi teologia (che lo allontana inesorabilmente dalle sue
possibilità esistenziali) da esercitare immancabilmente all’interno
della sua finitezza. La trascendentalità è l’atto magico di un incontro
tra assoluto ed immanenza, tra possibilità e condizione, tra libertà e
schiavitù, che consente all’io il superamento delle sue paure e
dell’angoscia esistenziale, determinate dalla sua finitezza. La politica
è l’arte che il potere si dà per un aggiustamento istituzionalizzato (e
pertanto forzatamente attribuito a tutti i cittadini di un paese) delle
apparenti contraddizioni e dei conflitti spontanei (spontaneità come
bisogno inconscio di riferimento all’assoluto, che la politica tenta di
soffocare con ogni strumento, come la repressione, le guerre e le
dittature). L’economia oggi, più che in qualunque altro momento della
storia dell’umanità, è l’alleata del potere politico, avendo scoperto
che la reciproca durata e la penetrazione nella storia dipendono molto
dalla loro capacità sussidiaria. Va comunque distinta, oltre i limiti
generali intrinseci a tutte le scienze, l’economia che tutela gli
interessi di una politica di potere, da una economia che s’ingegna e si
sforza nel tentativo di risolvere i problemi immediati e primari di una
società: la prima è economia di potere, la seconda è economia di
solidarietà. Vediamo ora come l’uomo, che rischia di affogare nella
melma della piena immanenza, dove i rapporti creativi si solidificano in
un inganno culturale, che propone la tecnologia come pura espressione
della creatività (quando invece la creatività è intuitiva memoria
dell’assoluto, ricavabile solo con la mediazione della trascendentalità,
in questo momento mortificata e negata dalla “cultura” ricorrente), può
reagire al processo inarrestabile di una storia il cui fine non è la
conservazione e il miglioramento della specie, bensì la sua graduale
estinzione. Ed è un errore sottovalutare il valore dell’assoluto, per
esempio minimizzando la concezione del tempo come fatto relativo nella
visione generale ed ontologica della realtà umana, non considerando il
rischio di una totale nientificazione dell’uomo in una lontananza che
sensitivamente non lo riguardi nella sua attualità. La contemporanea
industria delle idee (come dicevamo prima, fittizie ed ancorate ad un
progetto negativo e distruttivo per l’uomo), con i suoi strumenti,
adeguati ad una sua complicità col potere, come i mezzi di comunicazione
e una letteratura che invece di offrire idee stimolanti, in senso
trascendentale (sopra esposto), congela l’uomo in uno stato di piena
immanenza, è il primo nemico da smascherare. I così detti scrittori,
come pure le case editrici, si preoccupano fondamentalmente della
commercializzazione del prodotto, senza più porsi il problema delle
idee. Tutt’al più si ottempera ad una idea di interesse materiale, già
contemplato dall’idea, falsamente assoluta, di immanenza. Tale principio
di attualità (comunque costruito) potrebbe apparentemente sembrare un
fatto intelligente, mentre invece non è così perché la valutazione
dell’intelligenza va fatta sulla capacità di garantire i fini
trascendentali, idonei al raggiungimento di un’ontologia. Il che vuol
dire che letteratura (arte in genere) e filosofia devono ricostituire
una loro unità di valori, dentro la quale l’interesse fondamentale non
sia il potere e l’economia, ma la centralità del destino dell’uomo. Se
così non sarà, vorrà dire che, nella storia, ha avuto il sopravvento il
negativo e l’immanenza, e che la morale non è più la ricerca di un
equilibrio tra il bene e il male, finalizzato alla conservazione
dell’uomo e della sua identità nella natura, e quindi, più che mai,
serve un impegno drastico e disinteressato in quanto potere, rivolto a
ritrovare la via delle idee evolutive, in senso di spinta trascendentale
verso l’assoluto, che già stanzia in ciascuno di noi (seppure soffocato
dalle sovrastrutture del potere) per la nostra universalità
pre-esistenziale. prof. Antonio Vento
23-02-07 |
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