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AFORISMI 2

La felicità dell’uomo si misura col piacere di esistere: se gradire la sua immanenza, se illuminarsi nella sua trascendenza, se vivere entrambe seppure con la loro contraddizione, senza porsi eccessive domande che aprirebbero le porte dell’abisso. Forse più che porsi dei quesiti assoluti, l’uomo dovrebbe cercare di fare cose che lo avvicinino all’assoluto: il nostro grande Poeta, Dante Alighieri, ha potuto oltrepassare la soglia dell’immanenza scrivendo la sua Divina Commedia. Si è conquistata l’immortalità con l’arte. Da tutti è ricordato per la sua creatività, non per quello che mangiava o per i suoi orgasmi raggiunti. Il vero grande valore della vita è quello di sapersi sempre mettere in discussione, evitando le ipocrisie delle convenzioni, che alimentano la storia, da tutti accessibile, per sfuggire il terrore che la nostra diffidenza verso l’assoluto, difficilmente raggiungibile, causa nel nostro io che ha perso il vero contatto con gli altri. Il “Ghibellin fuggiasco” ha potuto raggiungere la sua immortalità attraverso la sua sofferenza e il suo rifiuto della storia.

Cos’è la rabbia, quando non si tramuta in odio: l’amigdala, l’ippocampo e la corteccia cerebrale, potrebbero darci una risposta, che ridimensionerebbe ogni definizione della psicologia e della storia. E’ una forza profonda che spinge l’uomo verso imprese ardite, strappandolo al sonno dell’indifferenza per la vita e per la realtà. E’ la ricerca dell’essere che si è perso, nel tempo, dentro la confusione delle abitudini, divenendo nulla. Il pensiero arido e infruttuoso è nulla; per ritornare all’essere deve superare il limite della sua immanenza improduttiva, che ubbidisce alle convenzioni e ai condizionamenti della coscienza, per ritrovare, con l’intuizione, la sua genuinità ontologica e con essa il coraggio di esistere e di esprimere la sua potenzialità nel fare.

Le scienze sociali si pongono spesso la domanda se l’uomo può migliorare la sua condizione umana e come questo possa avvenire. Le scienze sociali però si pongono le domande senza voler metter in discussione le cause che rendono impossibile questo miglioramento; prescindono sempre dal valore dell’uomo e dalla sua centralità rispetto alle loro scelte. Non si può scegliere il limitato e il particolare ed insieme pretendere l’infinito e l’assoluto. L’ipocrisia dell’uomo sta nel sapere che la sua salvezza può derivare dal coraggio di abbandonare la sua volontà dei privilegi e quindi nel volere realizzare la parità umana ed il rispetto della vita, senza poi mettere in pratica questo sapere: la vera religione è il rispetto della dignità dell’uomo e della natura, in forma diretta, e non porsi un problema del creato e del creatore, che rimanderebbe, anzi alienerebbe, il nostro impegno verso il giusto fine.

La storia dell’uomo è diventata la storia del suo condizionamento, pertanto la salvezza dell’uomo non sta dentro la sua storiografia, interpretata abusivamente e falsata dai più invadenti e dalle incoscienze prepotenti, bensì nel suo abbattimento: ricercando se stesso, come faceva Diogene, l’uomo deve saper abbattere la sua nullità, che ha distorto il suo cammino, gettandolo in un intreccio spinoso di sterpaglie, da cui non sa uscire fuori e ritrovare la sua strada. Il presunto eroismo del raggiungimento delle cose non è altro che la morte lenta dell’anima, dentro cui l’uomo manifesta la sua sconfitta più che la sua gloria. L’illuso che crede di aver risolto i suoi problemi con la metafisica, non è altro che il peggiore nemico di se stesso e di tutto il mondo; egli ha paura di guardare in faccia la realtà e teme la morte più di ogni altro, perché ha riposto la sua illusoria ragion d’essere nelle cose e non in se stesso e nella sua interiorità. Ha sconfitto la sua anima per consentire il trionfo dell’immanenza, che sentenzierà il suo futuro oblio.

prof. Antonio Vento

02-06-06    
 

 

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